Il Fatto Quotidiano

“Vietato cedere”: ora Di Maio pensa alle espulsioni

Il capo del M5S avverte i dissidenti in Senato e insiste nel no al Tav. Ma la Lega “morde” su grandi opere e voto a Roma

- » LUCA DE CAROLIS

porterebbe quando i costi della sua interruzio­ne risultano insostenib­ili”. Conte pare confermare di non aver avuto accesso ai contratti di Tap, eppure sostiene che il costo sarebbe una cifra dell’ordine di quanto calcolato, a carte coperte per il governo, dalle stesse aziende. Ieri il vicepremie­r Luigi Di Maio lo ha poi indirettam­ente

Evoca le testuggini della Roma che fu, contro un pugno di dissidenti. Pretende “compattezz­a”, perché “siamo sotto attacco”, minaccia di rispolvera­re l’arma delle armi, le espulsioni, avvertendo: “Se qualcuno dei soldati si fosse sfilato dalla formazione a testuggine avrebbe condannato i compagni alla morte o a finire prigionier­i”. Perché ha un’ossessione, il Luigi Di Maio che declama sul blog delle Stelle come un improbabil­e legionario: non mostrarsi debole davanti al vero avversario, quello che sta al tavolo di governo, la Lega.

L’ALLEATO che il M5S non chiama mai così, e che per tutto il giorno punzecchia Di Maio e i suoi ai fianchi, iniziando dalle grandi opere per continuare con il possibile voto anticipato a Roma. Stoccate per blindare il decreto Sicurezza e guadagnare metri nella corsa alle nomine. “Però il vero obiettivo è indebolirc­i a prescinder­e, perché loro già pensano alle Europee e al voto a Roma”, dicono dal Movimento.

Così ecco la nota bellica del capo, e le minacce di espulsioni fatte trapelare dall’alto per alcuni dei 3 o 4 ribelli schieratis­i proprio contro il decreto Salvini: “Chiunque votasse contro il provvedime­nto si metterebbe fuori da solo, sarebbe un tradimento”. Con Elena Fattori che pare quella più a rischio, e infatti fa sapere: “Se sarò espulsa farò smentito, spiegando che lo studio costi/benefici “è stato fatto”.

Marco Potì, sindaco di Melendugno, racconta al Fatto che nel corso della riunione dello scorso 15 ottobre a Palazzo Chigi, il sottosegre­tario allo Sviluppo economico Andrea Cioffi ha parlato di un possibile rischio di risarcimen­to “di 20 miliardi,” presentand­o “una relazione di due pagine in carta semplice, senza intestazio­ne”. Potì ha chiesto di aver accesso a tutta la documentaz­ione alla base di quei calcoli, “ma ci è stata negata”.

NEL CASO in cui il governo rescindess­e l’accordo internazio­nale con Grecia e Albania Potì ricorda che in Europa, in 20 anni di arbitrati aperti tra Stati e aziende in casi simili a questo, nel 50% per cento dei casi hanno perso i governi, per un ammontare di risarcimen­ti, da parte degli Stati, pari a 13 miliardi di euro totali: “Come mai col solo progetto Tap si rischiereb­be un risarcimen­to di 20 miliardi?”. Il governo non vuole rispondere. O, forse, non può. Perché un’analisi dei numeri tirati fuori dalle società private non pare averla fatta. ricorso”. Poco male per il vicepremie­r. Deciso a non mostrare “cedimenti”, per citare sempre il post alla D’Annunzio, così da non essere fragile dinanzi al Carroccio. E di conseguenz­a, per non essere obbligato a scelte impopolari, che peserebber­o nei mesi a venire. A partire dal voto di fiducia sul decreto sicurezza, probabile ma non certo.

D’altronde Di Maio non ha la fronda alla porta. Però ha quel gruppetto di irriducibi­li che possono complicarg­li la vita a Palazzo Madama. E deve vedersela con un malumore diffuso, che parte da molto in alto (il presidente della Camera Roberto Fico, ostile al dl Salvini) e ripiomba tra diversi parlamenta­ri. Eletti che non vogliono l’assalto al cielo, cioè al leader, ma che da tempo chiedono un coordiname­nto con il governo. E che sui territori devono rispondere alla base, in ansia dopo aver visto ammainare la bandiera del no al Tap. Ecco perché Di Maio fa muro al Tav: “La rinegoziaz­ione del progetto è dentro al contratto di governo”. Ergo, è inaccettab­ile, pena l’aprirsi di una frattura interna, per di più con il Piemonte che in primavera andrà al voto.

NON A CASOil numero due della Lega, Giancarlo Giorgetti, infierisce: “Le grandi opere se devono essere fatte si fanno, piuttosto c’è qualche frizione all’interno degli alleati. Risolveran­no al loro interno: si sa che quando si fanno grandi opere, qualcuno contro c’è sempre”. E nel Movimento non gradiscono. “Il condono penale lo voleva lui, non ci perdona di averlo bloccato” sibilano dai vertici. E comunque le voci da dentro spiegano che l’analisi sui costi e benefici su un’altra opera centrale, il Terzo Valico, arriverà la prossima settimana. E confermerà che va fatto, “perché fermarlo costerebbe più che completarl­o”. Tradotto, la Lega avrà l’opera che reputa fondamenta­le. Invece per il Tav se ne parlerà più avanti. Ma il responso sarà negativo, assicurano. E il Carroccio dovrà farsene una ragione. Anche se per ora tira dritto, per innervosir­e i 5Stelle. Mentre Salvini in serata a Night Tabloid accelera: “Sono contento di aver fatto con Giorgia Meloni la corsa alle Comunali di Roma. Col senno di poi anche i romani avrebbero preferito che andasse in maniera diversa: troviamoci per ragionare di Europa e anche di Roma”. Ed è la milionesim­a conferma del fatto che il ministro dell’Interno fiuta il sangue, cioè una possibile condanna della sindaca Virginia Raggi. Per questo parte del M5S vorrebbe comunque andare avanti con la giunta (la decisione potrebbe essere votata sulla piattaform­a Rousseau). Sarebbe un azzardo, ma almeno non si farebbe un favore a Salvini: l’alleato.

Siamo sotto attacco, dobbiamo essere compatti, come una testuggine romana Non possiamo permetterc­i cedimenti

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