Report senza tabù sul caporalato dei giornalisti
La vecchia storia se sia il conduttore a fare il programma o il programma a fare il conduttore ha varie scuole di pensiero e una certezza; se il conduttore ha seminato bene, si può fare a meno di lui. Vedi Report: Milena Gabanelli ha tracciato il solco dell’inchiesta concretamente scorretta, e Sigfrido Ranucci difende con onore questo fiore all’occhiello del servizio pubblico, i fatti liberati dalle opinioni, il perfetto anti-talk show (Rai3, lunedì sera). Eloquio e bonomia da pizzicagnolo trasteveri- no quelli di Ranucci, ma stesso piglio narrativo, stessa incontestabile contabilità senza sconti a nessuno, nemmeno a se stessi, viene da dire, se è vero che Report si è occupato del tabù dei tabù del giornalismo, le tante magagne della filiera editoriale e del giornalismo medesimo. Il fuoriclasse Bernardo Iovene, tigna di ferro in modi di velluto, ha messo a fuoco i due estremi del sistema: i contributi elargiti dallo Stato, di fatto, ad azionisti di maggioranza, cui fa da contraltare l’impiego selvaggio dei collaboratori esterni, una vera e propria forma di caporalato intellettuale. Qualche garanzia a proteggere i cottimisti ci sarebbe pure, ma al buon cuore di chi le applica. “Se viene applicata la legge dell’equo compenso? Non lo so”, dice a Iovene il presidente FIEG Andrea Riffeser Monti, tranquillo come un papa. È come se il presidente del McDonald’s non sapesse che hamburger c’è dentro il panino, né avesse problemi ad ammetterlo. Vada a chiedere in cucina, buon uomo.