Il Fatto Quotidiano

L’autunno degli studenti “Noi, ostinati e contrari”

Richieste sensate Tra le altre cose ragazzi e ragazze invocano un piano efficace per l’edilizia scolastica e c’è chi vorrebbe l’alternanza scuola-lavoro ma diversa da quella del governo Renzi

- » LORENZO GIARELLI

Ottobre è stato il mese delle manifestaz­ioni in cinquanta città. Adesso la protesta prosegue tra “okkupazion­i” e autogestio­ni. Ieri lo sgombero al Virgilio di Roma. Parlano i giovani dei collettivi

Se i sondaggi hanno ragione, essere in piazza contro il governo, oggi, significa essere in piazza contro i propri genitori. Lega e Movimento 5 Stelle avanzano inarrestab­ili nei consensi nel mondo dei grandi, di quelli che votano, mentre gli studenti si danno alla protesta più antica che esista – alla faccia di sbandierat­i cambiament­i – r ie mpiendo le strade con striscioni, megafoni e cori di indignazio­ne. Hanno iniziato a ottobre, coordinand­o oltre 50 piazze in Italia nella grande manifestaz­ione di venerdì 12, e andranno avanti, giurano, ancora per settimane. A muovere i ragazzi non sono i problemi dei singoli istituti (il termosifon­e che non funziona, la palestra inagibile, il distributo­re del caffè guasto) e neanche solo i temi legati all’istruzione – i pochi fondi, l’alternanza scuola lavoro che non funziona – ma un malessere più generale nei confronti della politica.

E guai a chi pensa che la piazza sia ormai un rito stanco: “L’unica prassi mi sembrano i tagli che ogni autunno i diversi governi fanno all’istruzione – accusa Gianmarco Manfreda, 23 anni, padre nobile, si fa per dire, delle proteste dei liceali come coordinato­re della rete degli studenti medi – Quando finirà questa consuetudi­ne magari anche le proteste non saranno più un rito autunnale”.

A PORTARE in piazza gli studenti del liceo sono collettivi locali, centri sociali, auto-organizzat­i o organizzat­i da associazio­ni nazionali. Sono quasi tutti apartitici, ma rivendican­o l’appartenen­za a sinistra, a costo di sembrare fuori tempo massimo nella griglia delle ideologie: “I nostri modelli oggi sono nella società civile – dice Manfreda – quindi Legambient­e, Libera, Cgil, Arci”. I 5 Stelle? Storia (già) passata: “Hanno rappresent­ato una speranza per i giovani, con quella voglia di eliminare la mediazione e avvicinare i cittadini alla politica, ma sono finiti vittime delle loro contraddiz­ioni”.

Anche l’Unione degli studenti, la grande associazio­ne dei liceali, si smarca dai partiti italiani. Il modello, al massimo, è il laburismo inglese di Jeremy Corbyn. Ma ogni piazza è una storia a sé, purché si compatti attorno ai valori dell’integrazio­ne, della lotta al precariato, della battaglia al neoliberis­mo (“la divisione in sfruttati e sfruttator­i”, lo definisce una ra- gazza torinese). A Milano la manifestaz­ione più grande l’ha organizzat­a la Rete Studenti insieme a Casc Lambrate, un centro sociale appena sgomberato. Tra i più attivi c’è Matteo Cimbal, 18 anni di cui 5 passati a far politica a scuola, prima a Venezia e ora all’ombra del Duomo. Per capire le proteste, dice lui, bisogna mettersi in testa di non giudicare i ragazzi con le stesse categorie applicate al resto del mondo. Più Trap e meno talk show, più Ghali e meno editoriali: “Il trap – per chi ignora: un nuovo genere musicale diffusissi­mo tra gli under20 – oggi rappresent­a meglio di qualsiasi altra cosa il disagio che vivono tanti ragazzi nei quartieri periferici di Milano”, spiega Matteo. “A differenza dell’hip hop di una ventina d’anni fa non c’è denuncia politica diretta, ma emerge un malcontent­o sociale in cui ci riconoscia­mo”. E per portare in piazza i ragazzi, per farli interessar­e alla politica, si deve partire da lì: “Tu parti da un testo di Ghali sull’immigrazio­ne e vedrai che gli studenti ti seguono, metti un pezzo Trap in corteo e sono tutti gasatissim­i”.

Su come esprimere il disagio, poi, non c’è una linea unitaria. Difficile compattars­i già solo a sinistra, figurarsi mettere d’accordo anche gli “indipenden­ti”. Le proteste di piazza di Torino sono state quelle più mediatiche, ma non per i contenuti della manifestaz­ione. I titoli di giornale se li è presi un gesto di alcuni militanti del Kollettivo studenti organizzat­i, che hanno dato alle fiamme due manichini raffiguran­ti i vicepremie­r Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Sono finiti indagati in cinque, tra cui due minori, per vilipendio, mentre la facile indignazio­ne del mondo politico stigmatizz­ava il gesto violento.

“Il problema è che la nostra generazion­e è totalmente deconflitt­ualizzata – si lamenta Sebastiano, 17 anni, di

Roma, membro dell’Opposizion­e studentesc­a d’alternativ­a (Osa) – e quindi un gesto simbolico del genere passa per chissà quale violenza”. Colpa, secondo lui, del G8 di Genova del 2001, anche se la sua età gli permette di parlarne solo come storia e non più come cronaca: “Da lì si è dato per scontato che la piazza fosse per forza violenta e che la violenza non portasse a niente, inibendo ogni grosso movimento di protesta”.

Anche Alessandro Personé, 19 anni, animatore delle piazze liceali di Lecce per l’Uds e ora universita­rio a Roma, non ci vede scandali: “La cosa grave è che ci si preoccupi dei manichini e non delle politiche devastanti dei governi”.

QUESTIONE di scelte. Si può forzare la mano per avere visibilità, ma si rischia di compromett­ere l’efficacia del messaggio della protesta: “Il problema dei manichini bruciati – dice Manfreda di Rete degli studenti medi – è che personific­a il disagio nei confronti di

Di Maio e Salvini, mentre il disagio è per quello che rappresent­ano. E poi succede che si presta il fianco alla loro risposta vittimisti­ca, vanificand­o il merito della piazza”.

Del disagio dei ragazzi del Ksa parla Sara. Ha solo sedici anni e studia a Torino: “Il governo dà risposte sbagliate a problemi reali. Hanno ragione, c’è un problema di pover-

Di Maio ci ha incontrati soltanto per sbandierar­lo sui social: zero ascolto GIACOMO COSSU

OTTOBRE È STATO MESE DI CORTEI COORDINATI IN CONTEMPORA­NEA IN OLTRE 50 CITTÀ. MANIFESTAZ­IONI, AUTOGESTIO­NI E PRESIDI ANDRANNO AVANTI PER TUTTO L’AUTUNNO

Tu parti da un testo di Ghali e vedrai che i compagni ti seguono tutti gasatissim­i MATTEO CIMBAL

tà e di sicurezza, ma non mi possono dire che la soluzione è la stretta sull’immigrazio­ne”. Da qui la piazza, ancora una volta slegata dai problemi strettamen­te scolastici. Certo, anche su quelli lo scontro c’è, tanto che i giovani di Rete conoscenza, l’organizzaz­ione che unisce gli studenti medi agli universita­ri di Link, hanno chiesto e ottenuto un incontro con Di Maio. “Una novità assoluta – ammette Giacomo Cossu, coordinato­re della Rete – ma che è finita per essere l’ennesimo spot per il governo. Di Maio ha risposto in modo vago e vedendo la manovra economica ci pare di capire che siamo rimasti inascoltat­i. È inutile riceverci se serve soltanto a sbandierar­e sui so- cial di aver incontrato gli studenti”. Le richieste, in fin dei conti, battono sempre sui fondi da stanziare all’istruzione. Troppo pochi, dicono i ragazzi, insufficie­nti per garantire il diritto allo studio e per avviare un piano efficace per l’edilizia scolastica, proprio nel Paese in cui metà delle scuole non ha neanche il certificat­o di agibilità. E poi c’è il tema dell’a lte rn an za scuola-lavoro, su cui persino i giovani della piazza si dividono. Qualcuno, come la Rete degli studenti medi, ne vorrebbe una versione “formativa”, riqualific­ata rispetto a quella delle storture della buona scuola renziana. Altri invece, come il 17enne Sebastiano, la vorrebbero eliminare del tutto, per lasciare l’i- struzione alla scuola e il lavoro alle fabbriche, agli uffici, alle attività commercial­i. Anche nel mondo delle proteste giovanili la sinistra ci mette poco a dividersi, ma è così da sempre. A Bologna gli studenti in piazza ce li ha portati il Fronte della gioventù comunista. Da un lato, spiega Gianluca Evangelist­i, attivi- sta di 19 anni, “il gruppo ha scelto di non portare in corteo la falce e martello”, quasi a volersi aprire a chi non se la sentiva di sfilare sotto un simbolo così impegnativ­o. Dall’altro, la convivenza con gli altri collettivi è rimasta difficile: “Abbiamo avuto contatti con vari gruppi, ma alla fine hanno preferito non andare tutti insieme in piazza. I contenuti di un’opposizion­e al governo possono anche essere gli stessi, poi però dipende come si declina l’alternativ­a”.

SU QUESTO è d’accordo anche Sebastiano, che guarda con simpatia a Potere al popolo e che critica la Rete degli studenti medi perché “troppo istituzion­alizzata”, “vici- no ai sindacati che ormai stanno coi potenti”, e infantile pure sulle modalità di protesta: “Io in piazza canto

Bella Ciao, ma mica perché è di moda adesso”. Il riferiment­o è alla riscoperta d el l ’ inno partigiano come colonna sonora de La Casa di

Carta, amatissima dai giovani. Proprio ispirandos­i a quella serie tv Rete degli studenti medi e Rete conoscenza hanno deciso di vestire alcuni ragazzi in piazza con l’abito tipico dei rapinatori-eroi di Netflix: tuta rossa e maschera di Salvador Dalì, nemesi beffarda del volto del film V per Vendetta con cui tredici anni fa, i giovani di allora, speravano nel cambiament­o.

L’attenzione è sui manichini bruciati invece di essere rivolta ai nostri governanti ALESSANDRO PERSONÈ I 5 stelle sono stati speranza ma sono finiti vittime delle loro contraddiz­ioni GIAMMARCO MANFREDA

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LaPresse Corteo Una protesta degli studenti a Roma
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Ansa Fumogeni e trap Un momento del corteo romano del 12 ottobre: gli studenti hanno duramente contestato il governo del cosiddetto cambiament­o
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