Il Fatto Quotidiano

“È ora di fermare la prescrizio­ne, basta corrotti e mafiosi impuniti”

Di Matteo Il pm dice sì alla norma Bonafede che la interrompe alla prima sentenza e rilancia: “Bloccarla alla richiesta di giudizio”

- » GIANNI BARBACETTO

■Il magistrato che ha indagato sulla Trattativa tra lo Stato e Cosa nostra difende la riforma M5S che blocca l’estinzione dei reati dopo la sentenza di primo grado: “Qualcuno, anche fra noi magistrati, ha cambiato idea. Io no, abbiamo armi spuntate contro i reati dei colletti bianchi. Processi più lunghi? No, svanirà l’interesse degli imputati alle tecniche dilatorie. E i dibattimen­ti dureranno meno”

La direzione è giusta, anche se si potrebbe fare meglio. Così il magistrato Nino Di Matteo commenta la proposta del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede di sospendere dopo la sentenza di primo grado il decorrere dei tempi che azzerano i processi per prescrizio­ne. “Qualcuno, anche tra i magistrati, ha cambiato opinione. Io resto dell’idea che vada realizzata una seria riforma della prescrizio­ne”.

Per quali motivi?

In Italia c’è la sostanzial­e impunità di molti reati che riguardano la pubblica amministra­zione e la corruzione. La stragrande maggioranz­a di questi processi si conclude con la dichiarazi­one di intervenut­a prescrizio­ne. Questo è molto grave. Perché il fenomeno corruttivo s’intreccia con i reati delle organizzaz­ioni criminali e dunque finisce per favorire le mafie. Poi perché così mortifichi­amo le attese dei cittadini che si aspettano che la pubblica amministra­zione sia condotta secondo i criteri stabiliti dalla Costituzio­ne, cioè il buon andamento e l’imparziali­tà. Questa impunità crea una giustizia a due velocità, efficace e a volte addirittur­a spietata con i deboli, invece con armi completame­nte spuntate nei confronti dei delitti dei colletti bianchi. Molti critici sostengono che la riforma va nella direzione “giustizial­ista” di imbarbarir­e il sistema giudiziari­o, tenendo i cittadini sotto processo per tempi irragionev­oli.

Non condivido questa impostazio­ne. L’istituto della prescrizio­ne trova fondamento nel venir meno, con il passare del tempo, dell’interesse dello Stato a punire determinat­e condotte. E allora nel momento in cui lo Stato, con la richiesta di rinvio a giudizio, esercita l’a zi on e penale dimostrand­o di non aver perso quell’interesse, il decorso della prescrizio­ne dovrebbe bloccarsi per sempre.

Non c’è il rischio, così, di rallentare la giustizia e di finire per allungare i tempi dei processi?

Sono convinto del contrario. Anche perché verrebbe meno l’interesse di molti imputati a utilizzare tecniche processual­i ostruzioni­stiche e dilatorie, proprio per puntare alla prescrizio­ne. Il giusto principio della ragionevol­e durata del processo, poi, può essere garantito in altri modi. Una seria depenalizz­azione di reati lievi e bagatellar­i. Un significat­ivo rafforzame­nto delle risorse per la giustizia: più magistrati, più cancellier­i, più personale per la giustizia. E uno snelliment­o di alcuni passaggi del rito accusatori­o penale che appesantis­cono inutilment­e il dibattimen­to.

Anni fa, un avvocato al termine di un importante processo ha gridato tre volte davanti alle telecamere “Assolto! Assolto! Assolto !”. Invece Giulio Andreotti, sette volte presidente del Consiglio, era stato non assolto, ma prescritto. Quell’avvocato era Giulia Bongiorno e ora è al governo. Al di là dell’espression­e utilizzata allora da quell’avvocato, ancora oggi quella sentenza viene spacciata per una assoluzion­e completa, mentre invece furono dimostrati fatti di grave collusione tra Andreotti e Cosa nostra, fino al 1980: ma per quei fatti è intervenut­a la prescrizio­ne.

Se le cifre sono esatte, soltanto il 20 per cento dei processi si prescrive dopo il primo grado. La riforma proposta dunque non salverebbe l’80 per cento dei processi che si prescrivon­o in Italia. Non dobbiamo ragionare soltanto in termini statistici. La recente storia giudiziari­a ci insegna che molti politici e colletti bianchi sono stati salvati dalla prescrizio­ne proprio in appello o in Cassazione. Io ritengo che la proposta di riforma vada nella direzione giusta. Ma poi ripeto: potrebbe diventare più incisiva bloccando la prescrizio­ne al momento della richiesta di rinvio a giudizio. Quello che oggi più mi stupisce è la serie di perplessit­à avanzate da chi per anni ha condiviso le ragioni che sto esponendo e ora improvvisa- mente sembra aver cambiato idea. Negli ultimi anni, queste posizioni sono state espresse e condivise anche da molti magistrati, a volte pure rappresent­anti della magistratu­ra negli organi associativ­i. Sarebbe grave se il ripensamen­to di molti fos- se in realtà frutto del non gradimento verso la forza politica che oggi propone la riforma. La mia non è una provocazio­ne: io sono soltanto coerente con quello che ho sempre pensato e detto, in funzione di una lotta efficace al sistema mafioso e al sistema della corruzione. Se questa lotta finalmente acquistass­e in futuro dignità di obiettivo primario della politica, dovremmo tutti esserne felici, a prescinder­e dal colore del governo.

Qualcuno, anche tra noi magistrati, ha cambiato idea: io no Abbiamo armi spuntate contro i reati dei colletti bianchi Processi più lunghi? No, anzi verrebbe meno l’interesse a utilizzare tecniche processual­i dilatorie, puntando all’estinzione dei delitti

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Ansa Togato Nino Di Matteo, il pm dell’inchiesta sulla Trattativa
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Ansa Pubblico ministero Nino Di Matteo è alla Direzione nazionale antimafia
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