“Palermo connection” Alla sbarra il ministro del patto Stato-mafia
Per la prima volta la Trattativa è raccontata sotto forma di romanzo dalla giornalista e scrittrice tedesca Petra Reski È la storia della coraggiosa procuratrice Serena Vitale
Davanti al Palazzo di Giustizia sedeva un poliziotto che si vociferava fosse stato licenziato a causa di problemi mentali. Portava una barba che gli arrivava fino al petto e gridava contro chiunque entrasse in tribunale: le segretarie e i fattorini, i poliziotti, i carabinieri, gli avvocati e i giudici. Stava accovacciato sul pavimento e urlava: “Avete paura di parlare?” e “Dov’è la democrazia?”. E tutti quelli che gli passavano accanto fingevano di non sentirlo. La procuratrice ignorò il pazzo, così come non badò a Wieneke che l’aspettava lì già da un’ora e che comunque si era immaginato diversamente una procuratrice antimafia. In ogni caso non con tacchi così alti con i quali saliva sorprendentemente svelta le scale del Palazzo di Giustizia. “Signora Vitale, mi scusi – esclamò Wieneke – sono il giornalista tedesco, si ricorda? Abbiamo parlato per telefono...”, voleva dire ancora qualcosa, ma lei aveva già oltrepassato il metal detector. Senza alzare lo sguardo. A Wolfgang W. Wieneke e al suo fotografo non restò altro da fare che correrle dietro.
LA PROCURATRICE andava di fretta per il corridoio con una pila di atti sotto il braccio. Mentre camminava si gettò la toga sul vestito. (...) Wieneke e il fotografo dovettero litigare per due posti sui banchi della stampa, perché i giornalisti già seduti cercavano coi loro portatili di marcare il territorio. I banchi degli spettatori erano stracolmi, l’aula era piena da scoppiare e chi non trovava posto si assiepava nei corridoi accanto ai poliziotti, ai carabinieri e agli uscieri. “Del resto, la chiamano la ‘santa di ghiaccio’”, disse il fotografo, un soprannome che Wieneke trovò straordinariamente azzeccato. Più che altro a causa dell’aria condizionata del Palazzo di Giustizia. (...) In aula entrò il ministro accusato. Enrico Gambino. Circondato da un seguito di avvocati, consiglieri e guardie del corpo, Gambino rimase fermo a lungo, finché nell’au- la rumorosa si formò un cerchio di silenzio. Indossava una giacca blu scuro e una camicia azzurra. I capelli erano bianchi e così radi che sotto si vedeva rilucere il rosa della pelle della sua testa. Incurante, salutò alcuni giornalisti e, senza girarsi, fece loro un cenno mentre passava: un re rovesciato dal trono e sorretto dalla consapevolezza che alla fine avrebbe trionfato.
Prima di sedersi, col capo fece un cenno regale e provocatorio alla procuratrice. Come un regnante che in terra straniera si sottomette alle regole di un ridicolo protocollo. Scambiò serenamente due parole coi suoi avvocati e salutò una donna con un bacio sulla guancia. Quando non si sentiva osservato sprofonda- va in sé e spingeva leggermente in avanti la mascella inferiore. Alla luce del neon dell’aula di giustizia la sua faccia aveva un aspetto malaticcio e bluastro. Wieneke prese dalla borsa il suo nuovo taccuino Moleskine, vi fece svogliatamente un paio di annotazioni sulla forma dell’aula di giustizia, sul freddo preoccupante, sul colore del pavimento di marmo, sulle uniformi dei carabinieri, poi annotò che l’accusa diceva: “Concorso in associazione mafiosa e complicità in attentati” – e dietro l’ultimo punto dell’accusa fece un piccolo punto interrogativo: il fotografo aveva sottolineato che l’accusa non era sostenibile. “È già tanto che si sia arrivati a processo”, disse. Wieneke annuì, anche se non comprendeva assolutamente perché fosse una sorpresa avviare un processo contro un ministro che, per essere accusato, doveva averne fatte di cotte e di crude. “Scusa un attimo”, disse infine Wieneke, “a prescindere dal fatto che questo Gambino è sospettato di aver tolto di mezzo un giudice, era già stato condannato come deputato europeo per aver trasferito miliardi di sovvenzioni nelle tasche dei boss per impianti a energia eolica, dighe di sbarramento e cooperative agricole che esistevano solo sulla carta”.“Al primo grado di giudizio”, disse il fotografo. “Sì, e allora?”, domandò Wieneke. “Finché il giudizio non viene confermato al terzo grado non si può considerare definitivo”. “Inoltre dicono che abbia fondato un partito per la mafia, quindi non può essere del tutto innocente”, disse Wieneke.
IL FOTOGRAFO lo osservò divertito, come un grazioso cagnolino. “Te lo spiego dopo”, disse. Il ministro Gambino guardava l’aula di giustizia con un’aria distesa, come se l’accusa contro di lui fosse soltanto una nuvoletta smarritasi davanti al sole che presto sarebbe evaporata. Sistemò la piega dei pantaloni, si passò la mano sulla cravatta, scartò con difficoltà una caramella per la tosse, la infilò in bocca e, mentre spostava la caramella da una parte all’altra del palato, fece sapere ai giornalisti interessati che tutte le accuse sollevate contro di lui erano inventate di sana pianta.
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FANTASIA ISPIRATA
“È accusato anche di aver fondato un partito per i clan, poi quando era a Bruxelles trasferì alcuni fondi...”