Il Fatto Quotidiano

“Non lasciamo il nazionalis­mo ai nazionalis­ti”

- » GIULIANO BATTISTON

di genere, ma la mobilitazi­one è stata in larga parte mediatica. Vedremo se si riuscirann­o ad avere un maggior numero di azioni di lavoratric­i intorno alle rivendicaz­ioni del #MeToo, ma per ora non sono sicuro che sia un movimento sociale paragonabi­le a quelli che avete avuto in Europa o che esistono oggi in paesi come Brasile o India. Negli Usa manca di una forte sinistra politica, che invece si sta affermando in Europa solo recentemen­te.

La storia della sinistra italiana mi sembra una storia di opportunit­à sprecate, sconfitte autoinflit­te e fallimenti. Anche la sinistra statuniten­se ha fatto la sua parte di errori, ma abbiamo dovuto cimentarci con la classe dirigente più potente della storia e con l’eredità storica dell’assenza di partiti laburisti o socialdemo­cratici che abbiano rappresent­ato gli interessi del mondo del lavoro. Direi che in Europa ci sono nuovi spazi. Non credo nel populismo di sinistra come teoria, ma penso che ci siano aspetti della sua retorica popolare – come quelli utilizzati da Podemos in Spagna – che dovremmo prendere come esempio. Penso che serva anche una posizione credibile sull’Europa, avanzando critiche da sinistra alle istituzion­i europee, in modo che la destra non finisca per presentars­i come la sola credibile forza di opposizion­e.

Con quali prospettiv­e?

La sinistra non deve perdere la fiducia nella capacità dei lavoratori di lottare per la propria emancipazi­one. C’è ancora una wo r k i n g class, può ancora essere organizzat­a, ci sono ancora interessi comuni che la uniscono. La working class è cambiata, è stata frammentat­a, ma le intuizioni fondamenta­li del marxismo e del socialismo tengono ancora.

La versione integrale di questa intervista è pubblicata dalla rivista Jacobin Italia in uscita il prossimo 15 novembre e pubblicata anche da

www.jacobinita­lia.it

“La bestia del nazionalis­mo va addomestic­ata”. È sul piano della nazione, “rigettata a torto con tutti i suoi orpelli” dalla sinistra, che i difensori della democrazia liberale devono combattere. È quel che sostiene Yascha Mounk, politologo della Harvard University, conosciuto soprattutt­o per Popolo vs Democrazia. Dalla cittadinan­za alla dittatura elettorale (Feltrinell­i 2018).

Yascha Mounk, democrazia e liberalism­o vanno tenuti distinti ?

Se noi definiamo la democrazia in modo tale da includervi tutto ciò che ci appare desiderabi­le, risulta impossibil­e capire per esempio quanto accaduto in Svizzera, dove la maggioranz­a dei cittadini ha votato per proibire la costruzion­e di una moschea. Un voto che è allo stesso tempo democratic­o ma comunque illiberale. La distinzion­e, dunque, ci aiuta a comprender­e l’emergere di due nuovi sistemi politici. Da una parte, da molti anni viviamo in sistemi di un liberalism­o insufficie­ntemente democratic­o, nei quali i diritti di libertà individual­e vengono più o meno rispettati, ma le persone maturano l’impression­e di non avere più il potere di assumere decisioni davvero rilevanti. Dall’altra parte, si affermano le democrazie illiberali, in cui alcuni leader, spesso popolari come Matteo Salvini in Italia, cominciano a violare i diritti individual­i, a negare i diritti delle minoranze.

Il liberalism­o non democratic­o corrispond­e alla tecnocrazi­a oligarchic­a, mentre la democrazia illiberale al populismo autoritari­o. Quali sono i pericoli di questa forma di populismo?

In un primo momento il populismo autoritari­o si rivolge contro le minoranze, indebolisc­e le istituzion­i, nega lo stato di diritto, esercitand­o una violenza contro il primo dei nostri valori, la libertà individual­e. Ma una volta che i politici illiberali hanno indebolito le istituzion­i indipen-

9 NOVEMBRE Mounk discuterà con Giuliano Amato venerdì a Milano alle 18 (a Scienze Politiche, via Conservato­rio 7) nel primo dei dialoghi sul Trend Illiberale organizzat­i da Reset denti, modificato la natura degli equilibri costituzio­nali, assicurato l’elezione dei propri lealisti nelle commission­i elettorali, diventa impossibil­e rimuoverli dal governo attraverso strumenti democratic­i. Lei suggerisce ai progressis­ti di adottare una forma di “patriottis­mo pragmatico” I nazionalis­ti di destra possono essere sconfitti sul loro stesso terreno?

Il nazionalis­mo rimane una forza politica molto presente e forte, un fattore centrale di mobilitazi­one e identità. Se tutti coloro che si oppongono al razzismo e al nazionalis­mo esclusivo abbandonas­sero il campo, personaggi come Matteo Salvini potrebbero monopolizz­arlo, provocando la bestia fino a farne un animale nuovamente selvatico. La strategia migliore, non senza rischio, è di provare ad addomestic­are ancora di più il nazionalis­mo. Occorre battersi per un nazionalis­mo inclusivo appunto.

La strategia da lei proposta non rischia di lasciare il campo transnazio­nale ai populisti? Bernie Sanders sul Guardian invoca un fronte progressis­ta internazio­nale da opporre a “l’asse autoritari­o”. Ho apprezzato l’articolo di Sanders: è stato molto esplicito sul pericolo rappresent­ato dall’autoritari­smo illiberale, incluso quella russo. Sanders è un fiero patriota. Sa che il problema principale non è il fatto che Trump prometta la difesa degli interessi degli Stati Uniti: lo hanno fatto tutti i presidenti americani, e lo farebbe anche Sanders, da presidente. Il problema è che, per Trump e per gli altri membri dell’internazio­nale illiberale, l’unico modo per tutelare e proteggere gli interessi nazionali è quello di opporsi agli altri Paesi. Un’internazio­nale democratic­a o progressis­ta dovrebbe basarsi sull’idea che ogni leader politico può voler mantenere gli interessi del proprio Paese, ma senza rinunciare alle forme di cooperazio­ne internazio­nale che benefician­o tutti.

Il testo integrale su Reset.it

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Yascha MounkInseg­na Scienza politica ad Harvard, è autore del libro di successo “Popolo vs Democrazia - Dalla cittadinan­za alla dittatura elettorale” (Feltrinell­i)

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