Il Fatto Quotidiano

L’Harmony di Salvini, il “pupazzo” che ha preso il posto del ministro

- » ALESSANDRO ROBECCHI

Ese ne avesse altre? Intendo: se la signora Isoardi avesse altre fotine da mostrarci? Se volesse trasportar­e da “collezione privata” a “pubblico dominio” altri scatti d el l’attuale ministro dell’I nterno? A quel punto avremmo un intero catalogo di immagini dedicate a Matteo Salvini: quelle che si fa lui (in settimana: con il mitra in mano, con la Madonna di Medjugorje, con la tuta della Protezione civile, con la divisa dei pompieri, in giacca e cravatta dal presidente del Ghana…) e quelle che gli fanno gli altri, che non si sa mai. Insomma, non è giusto che un collezioni­sta privato privi (appunto) il mondo di testimonia­nze artistiche così rilevanti. In un momento storico in cui il leader aspirante uomo forte (“Se governassi da solo…”, un classico) coincide in tutto e per tutto con la sua immagine mediatica, diffondere fotografie non autorizzat­e sarebbe un dovere civico, un contributo al dibattito politico culturale.

VA DETTO CHE la prima puntata della soap ha mosso un po’la trama: Salvini era così a corto di idee da farsi fotografar­e con una statua della Madonna di Medjugorje (che di solito è il penultimo gradino del vip in affanno), e un po’di soft-core per i palati meno devoti serviva come il pane. Lui, peraltro, com’è noto, ribatte che “Per educazione, carattere e rispetto non ho mai buttato in piazza la mia vita privata”. Non male, detto da uno che si fece fotografar­e a letto vestito solo di una cravatta verde sulla copertina di un settimanal­e.

Ma sia, non è della già oltremodo dibattuta situazione Har- mony dello sceriffo che si vuole parlare. O forse sì, ma in questo senso: il terreno del voyeurismo salvinista si allarga di un’altra zolla. Dopo le emergenze inventate, l’affanno da sciacallo sui casi di cronaca su cui cala come un avvoltoio se lo ritiene utile, tra un insulto agli intellettu­ali e il vorticoso cambio di costumi di scena, mancava l’irruzione nel privato, di più, nell’intimo. Dal palinsesto un po’ machista e un po’ albertosor­diano del Nostro mancava il tassello del melodramma privato, una cosa da tivù popolare, anzi popolariss­ima: “E pensa, Maria, che gli stiravo il cappuccio del Ku Klux Klan, è uno stronzo, chiudi la busta”. Insomma, che Salvini stia colonizzan­do ogni spazio di com unicaz ione disponibil­e è noto: forse lo vedremo che imbocca un cucciolo di foca, o sorridente sulla confezione dei cereali, o che ricorda severo che è ora di montare le gomme invernali.

Salvini che è ovunque e in ogni luogo, insomma, con la statua della Madonna e col mitra, impegnato nella costruzion­e di quel rumore di fondo senza il quale sarebbe soltanto Matteo Salvini, un politico di lungo corso, molto ancien régime, sopravviss­uto al terremoto dei partiti e diventato portabandi­era della destra non più vergognosa di se stessa. Come già si disse in questa rubrichina, il problema non è se, ma quando scoppierà questa bolla di fuffa elettronic­a che accompagna le gesta di Salvini. Già si nota una confusione tra il Salvini e il suo pupazzo, tra l’astuto politico e le sue varie caricature, girano le barzellett­e su Salvini, le parodie si sprecano.

IN SOSTANZA, dietro l’apparente osanna delle masse, si comincia a intravvede­re lo smottament­o: Salvini che vorrebbe essere uomo forte, appoggiato alle proverbial­i puttanate del Duce, che fa la faccia brutta davanti al crimine (purché commesso da immigrati), si confonde sempre più con il Salvini da trash televisivo, da pescatore della domenica, da indossator­e di divise. Ci vorrà del tempo, perché il ridicolo è come il veleno, che ci mette un po’.

Vedendolo sorridere pieno di sé mentre si recava sul luogo di una tragedia, molti hanno pensato che avesse sbagliato selfie, invece sono solo i piani che si intersecan­o: il pupazzo e il ministro non sono più distinguib­ili, e non è certo il pupazzo il peggiore dei due.

ANCORA, ELISA! Isoardi dovrebbe iniziare a pubblicare altre foto “private”: tanto ormai attore e personaggi­o sono uguali Anzi no, il primo è peggio

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