Il Fatto Quotidiano

I NOSTALGICI DELLA MARCIA DI ROMITI

La città “morì” la prima volta nel 1864. Chiara Appendino impari dal sindaco di allora

- » MASSIMO NOVELLI

Caro direttore, ti scrivo da quella che Jean Giono, negli anni 50 del Novecento, nel suo Viaggio in Italia-definiva “una vecchia capitale”. Come Vienna o Ljubljana, insomma, oppure Praga o Budapest. Una città, aggiungeva lo scrittore francese, dove ci si può “permettere il lusso di essere apertament­e romantici”. Torino, oggi, dopo oltre un secolo di dominio sciagurato della Fiat, sta cercando di ritornare a essere una vecchia capitale nella cultura, nell’arte, nella musica, nelle tradizioni storiche (la città laboratori­o di idee, di ricerca, di innovazion­e, ecc.). E ha saputo diventare città turistica anche perché poco “cool” e frenetica, non così assolutame­nte commercial­e e finanziari­a come Milano, ma più vivibile, più tranquilla, più bella e più assolutame­nte umana.

Eppure quelli che tu chiami i “giornaloni” la raccontano, in questi giorni, “triste, solitaria y final”. E i partiti e partitini degli affari, delle cosiddette grandi opere, dei Tav (l'ormai obsoleta Torino-Lione) e “per li rami”, quella borghesia locale e quei cascami della vecchia politica di cui scriveva Ettore Boffano, la vorrebbero riportare a essere un “mare di fredde ciminiere” (per citare un verso del compianto zingaro di barriera Gipo Farassino), come ai tempi della marcia dei 40 mila e della Fiat (con tangenti) di Cesare Romiti. Tuttavia, adesso, a marciare sono in meno di 500. Qui, poi, i “giornaloni” si superano nel fare la voce del padrone. Il Corriere della Sera, per esempio, ha scritto che se sabato 4 novembre in piazza Castello a manifestar­e per il Tav e contro la sindaca Appendino, erano 500, il 10 novembre potrebbero riunirsi in 72 mila (!). Come se il Tav, peraltro, potesse risolvere i problemi, che ovviamente non mancano nell'ex capitale d’Italia, con 2 o 3 mila posti di lavoro a tempo.

Già nel 1864, dopo il trasferime­nto della capitale a Firenze, Torino dovette reinventar­si. Lo fece allora con l'industria. Ora non può guardare all’industria pesante e al cemento, alle vecchie logiche consociati­ve, agli “affari” per i soliti noti, per andare davvero avanti. E tantomeno deve inseguire Milano che, del resto, mai fu capitale. Torino deve cercare di essere quella che è stata ed è ancora: una vecchia nobile capitale.

Lo ha dimostrato e lo sta dimostrand­o con la cultura, l'arte (si pensi al successo di Artissima), il turismo non becero. Per cento e passa anni la Fiat ha massacrato e annerito, snaturato, la città. La sindaca Appendino e la sua giunta hanno l’occasione, come era accaduto al sindaco Emanuele Luserna di Rorà nel 1864, di ridarle una parte non effimera e un ruolo non secondario da capitale. Non in virtù di improbabil­i ritorni alla città fordista e industrial­e, bensì con cultura, arte, musica, anche il benedetto "food", e salvaguard­ia dell'ambiente, soprattutt­o umanesimo: ecco, una capitale umanistica. Una città, dunque, che della storia sa imparare la lezione per il futuro e non replica becerament­e il passato delle “fredde ciminiere”, impossibil­e a ripetersi se non in farsa.

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Ansa La marcia dei 40 mila

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