Doping “tentato”, 4 anni all’ormai ex Filippo Magnini
Non c’è prova dell’assunzione di sostanze. Decisivi i suoi rapporti con il medico Porcellini e le intercettazioni compromettenti
Filippo Magnini ci è “cas ca t o”: arrivato a fine carriera, in piena parabola discendente e lontano dagli allori iridati, anche lui è caduto nella tentazione di ricorrere a un aiutino (anche se magari non l’ha fatto per davvero). È questa la verità scritta dal Tribunale nazionale antidoping, che lo ha squalificato per quattro anni per tentato uso di sostanze illecite nel processo che deriva dall’inchiesta sul medico sportivo Guido Porcellini. Quattro anni con la stessa accusa anche al suo ex compagno, Michele Santucci. Una sentenza che non tocca la carriera del nuotatore, quella era finita da un pezzo, ma rischia di macchiarla e riscriverla a posteriori. E di pregiudicare anche un eventuale futuro da dirigente (sarà inibito fino al novembre 2022), per non parlare del presente da testimonial e volto della tv, ricchi contratti in fumo perché a nessuno piace associare il proprio nome a quello di un ex dopato. E nemmeno di un ex quasi dopato.
UNA STANGATA, insomma, anche e soprattutto dal punto di vista dell’immagine. Ma solo a metà: la Procura in realtà ne aveva chiesti addirittura otto di anni per il due volte campione del mondo dei 100 stile libero, la gara regina in vasca. Dopo una lunga indagine e diverse audizioni, gli inquirenti gli avevano contestato la violazione di ben tre articoli del codice: uso o tentato uso di sostanze dopanti, appunto, favoreggiamento e persino somministrazione o tentata somministrazione, per aver coinvolto il compagno di squadra Santucci. La prima sezione del Tribunale di Nado Italia (il massimo organo antidoping nel nostro Paese) lo ha dichiarato colpevole solo del primo illecito, senza peraltro che ci sia al- cuna prova dell’effettiva assunzione delle sostanze. Ma i suoi rapporti con Porcellini, già squalificato per 30 mesi in ambito sportivo, e le intercettazio- ni compromettenti registrate dai Nas dei carabinieri sono sufficienti per la condanna.
Tutto nasce dall’in c hi e st a che a dicembre 2015 porta al sequestro di prodotti proibiti in un centro fisioterapico di Pesaro: tra i presunti clienti del dietologo Porcellini c’è pure Magnini. E agli atti finiscono le conversazioni in cui il medico indica sostanze, modalità e tempi di assunzione per raggiungere i risultati migliori; più le intercettazioni piuttosto e- splicite in cui Magnini parla di una fornitura di “funghi” e sembra provare a convincere l’amico Santucci sulla necessità di prendere qualcosa in vista del mondiale, perché “così fan tutti”. Non c’è prova, però, che le sostanze siano mai state assunte, nemmeno che siano arrivate in possesso dei nuotatori: per questo sul piano penale i due ne sono usciti puliti.
DIVERSO il discorso con la giustizia sportiva, per cui basta il tentativo per consumare un illecito. La procura era stata durissima nel chiedere il massimo della pena, il tribunale è stato inflessibile. E mentre la Federazione nuoto, a cui ha regalato tanti trionfi, sottolinea che si tratta solo del primo grado di giudizio, lui grida al complotto, continua a proclamarsi innocente, si paragona a Cristiano Ronaldo accusato di presunto stupro, annuncia addirittura un libro-verità oltre allo scontato ricorso: “Questa sentenza è ridicola, non ho fatto nulla ma la decisione era già scritta: per il procuratore era diventata una questione personale contro di me”, denuncia. “Ci sono state molte irregolarità, forse il mio movimento ‘I’m doping free’ ha dato fastidio a qualcuno”. Già, perché nella sua grande carriera Filo era stato tante cose: bicampione del mondo e capitano della nazionale, certo, ma anche paladino dello sport pulito, e poi divo della tv e delle cronache rosa, fidanzato storico della magnifica Pellegrini (storia archiviata, adesso c’è la sh ow gi rl Giorgia Palmas). Sempre sotto le luci dei riflettori. Ma ora medaglie, ricordi, sponsor: finisce tutto offuscato dall’ombra del doping.
Contratti in fumo La sua carriera era finita da un pezzo, ma adesso rischia di macchiarsi e riscriversi a posteriori
L’autodifesa “È una sentenza ridicola, l‘esito era scontato: era una questione personale contro di me”