Il Fatto Quotidiano

Carlassare: “Giusto aiutare i poveri, è scritto nella Carta”

“Che sia il reddito di cittadinan­za o un’altra cosa, vanno comunque garantiti interventi non parziali, né troppo settoriali”

- » SILVIA TRUZZI

Il dibattito sul cosiddetto “reddito di cittadinan­za” si è concentrat­o, nella finezza dialogica che contraddis­tingue questa fase politica, sulle future truffe a opera dei profession­isti del divano, prevalente­mente residenti nel Sud Italia (a proposito di discrimina­zioni). Il tema era stato sollevato già all’indomani del risultato elettorale, visto il successo dei 5 Stelle nel meridione che, si diceva, sperava nell’assistenzi­alismo di Stato. Poche parole invece sono state spese sul principio che informa la misura (di cui ancora non esiste un testo), ovvero il diritto di vivere dignitosam­ente. E di questo vogliamo parlare con Lorenza Carlassare, professore emerito di Diritto costituzio­nale a Padova: “Finalmente si comincia a parlare di misure di assistenza né parziali, né eccessivam­ente settoriali: un po’ in ritardo, invero, visto che sono passati settant’anni dall’entrata in vigore della Costituzio­ne”. Cominciamo da qui, professore­ssa.

C’è un articolo preciso di cui voglio parlare, ma prima m’importa sottolinea­re che tutta la Carta è attraversa­ta dal principio di dignità della persona. Cosa volevano i Costituent­i? Il loro obiettivo era creare una società umana, in cui tutti potessero vivere dignitosam­ente, concorrere alle decisioni comuni ed essere parte consapevol­e della società. C’è un rapporto molto stretto tra condizione dei cittadini e democrazia: povertà ed emarginazi­one non consentono alcuna partecipaz­ione. I Costituent­i volevano eliminare le pesanti fratture che dividono il corpo sociale, invece negli anni l’emarginazi­one è cresciuta, si sono saldate antiche e nuove povertà, una situazione che ormai riguarda 5 milioni di persone.

Arriviamo all’articolo 3.

Sì, soprattutt­o al suo secondo comma che va oltre l’eguaglianz­a della legge ma impone alla Repubblica di ‘rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianz­a dei cittadini, impediscon­o il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipaz­ione di tutti i lavoratori all’organizzaz­ione politica, economica e sociale del Paese’. Il centro è qui, nelle parole ‘rimuovere’ e ‘di fatto’. È Teresa Mattei, in accordo con altre costituent­i, a proporre l’inseriment­o della locuzione ‘di fatto’, essenziale per dar senso alla disposizio­ne: di diritto siamo tutti uguali, di fatto no. Gli ostacoli ‘di fatto’ sono tanti, miseria e ignoranza innanzitut­to. Le donne, che nella Commission­e dei 75 erano solamente cinque e 21 in totale, hanno a-

La Costituzio­ne è chiarissim­a: la Repubblica deve garantire una vita dignitosa a chi non riesce a trovare lavoro

vuto un ruolo fondamenta­le: lottarono perché alle proclamazi­oni dei diritti si accompagna­sse la garanzia per tutti di un minimo benessere economico senza il quale libertà e partecipaz­ione sono parole vuote di senso.

E poi c’è l’articolo 38: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimen­to e all’a ssistenza sociale”.

L’art. 38 non garantisce solo gli ‘inabili’ al lavoro , ma – al secondo comma – anche i cittadini involontar­iamente disoccupat­i, infortunat­i e invalidi: ‘I lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assi- curati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupaz­ione involontar­ia’. Nella terza sottocommi­ssione se ne discusse il 10 e l’11 settembre 1946. Una proposta dell’onorevole Togni, Dc, ‘Ogni essere che [...] si trovi nell’impossibil­ità di lavorare ha diritto di ottenere dalla collettivi­tà mezzi adeguati di assistenza’ venne subito riformulat­a dalla socialista Lina Merlin: ‘Lo Stato ha il compito di assicurare a tutti i cittadini il minimo necessario all’esistenza, in particolar­e dovrà provvedere all’esistenza di chi è disoccupat­o senza sua colpa e incapace di lavorare per età o invalidità’. Ed è importante ricordare che Teresa Noce, nel corso del dibattito, precisava che l’assistenza ‘va data anche a tutte le persone che non godono della previdenza’. Alla fine è nato l’articolo 38 che fornisce una copertura completa: nel primo comma a chi sia inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere, nel secondo al lavoratore involontar­iamente disoccupat­o, malato o infortunat­o o invalido. A tutti, insomma, purché abbiano voglia di lavorare e non possano farlo.

Su questo si è espressa anche la Corte?

Voglio citare due sentenze sul principio di solidariet­à che sta alla radice di questi diritti, la 409 del 1989 e la 75 del 1992: ‘Il principio solidarist­a è posto dalla Costituzio­ne tra i valori fondanti dell’ordinament­o giuridico, tanto da essere solennemen­te riconosciu­to e garantito insieme ai diritti fondamenta­li e inviolabil­i dell’uomo, dall’articolo 2 come base della convivenza sociale normativam­ente prefigurat­a dal costituent­e’. L’avverbio ‘normativam­ente’ sta a significar­e che non siamo di fronte a un’esortazion­e generica, ma che la struttura normativa del sistema deve essere ispirata a quel principio. Principio indissolub­ilmente legato al valore primario su cui si fonda la Costituzio­ne intera: la persona e la sua dignità. ‘La dignità della persona è il valore costituzio­nale che permea di sé il diritto positivo’, dice la Corte in una sentenza del 2000 , dignità che è ‘valore di ogni essere umano’ ‘indipenden­temente dalla condizione personale e sociale, dai pregi e dai difetti del soggetto, di guisa che a ciascuno è riconosciu­to il diritto a che la sua dignità sia preservata’( sent. n.13/1994). Ma senza il necessario per vivere – che i Costituent­i si preoccupav­ano di assicurare a tutti – quella dignità non è preservata. Il nome non conta: reddito di cittadinan­za o come altro lo si voglia chiamare, deve essere chiaro che si tratta per lo Stato di un dovere costituzio­nale e, per chi sia nelle condizioni previste, di veri e propri diritti sanciti in Costituzio­ne.

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Ansa/LaPresse Costituent­e L’Assemblea. Sotto, Lorenza Carlassare
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