Matteo si paga il convegno con i soldi dei senatori Pd”
L’ex premier si racconta sobriamente: è colpa di chi c’era prima...
Non è che sia proprio una lettura di quelle che illuminano un freddo pomeriggio autunnale, La sfida impopulista di Paolo Gentiloni ( in uscita martedì per Rizzoli). Non è uno di quei libri che ti fanno fare le ore piccole, perché non riesci a chiuderli finché non li hai finiti.
SOMIGLIA piuttosto al suo autoree all’immagine che vuole accreditare di sé: sobrio, serio, rigoroso, piano. Gentiloni scrive un libro sui suoi anni di governo – Esteri e Palazzo Chigi – senza l’ombra di un retroscena. Niente segreti, niente intrighi. È tutto dritto, tutto liscio, ogni pole- mica è a bassa intensità.
Cosa ci vuole comunicare l’ex premier? Prima di tutto che è stato bravo. Alla Farnesina ha risolto il caso dei marò, ha partecipato alla sconfitta del Daesh, ha iniziato a stabilizzare la Libia. Da capo del governo ha accompagnato la crescita, ha protetto Marco Minniti sull’immigrazione anche dal“fuoco amico” del suo partito. E tante altre piccole cose serie. E allora perché il Pd è così impopolare (oltre che “impopulista”)?
Gentiloni non lo dice, ma allude: ha dovuto raccogliere i cocci. Non ha parole cattive per Matteo Renzi, si limita a demolire la sua gestione dal referendum in poi. Ma sempre in modo sobrio e pacato, spesso senza nominarlo, per lo più evocandolo.
PER ESEMPIO: la mozione contro Ignazio Visco, governatore di Bankitalia, è “una frittata politica e istituzionale”, “un autogol”. Mentre “l’istituzione della Commissione sulle banche è stata un vero e proprio suicidio”. Tutte idee di Matteo, anche se Gentiloni non lo scrive.
La tesi del libro, sempre felpata e tra le righe, è che il Pd sia stato massacrato dagli elettori malgrado abbia governato bene. Non perché ha smesso di rappresentare gli ultimi e i perdenti, ma perché scimmiotta troppo i 5Stelle: “L’idea di poter combattere il populismo scendendo sul suo stesso terreno non ha funzionato”.
E poi il perché il capo aveva perso la capoccia. Tradotto in gentilonese: durante la campagna elettorale “Renzi invo- cava la squadra, molti nostri elettori il cambio di capitano”, cioè Renzi stesso.
ANCHE la madre di tutte le sciocchezze – la campagna sul referendum costituzionale – è stato un errore grossolano che Gentiloni ha inutilmente tentato di scongiurare. Invitando Renzi “ogni volta che ne avevo l’occasione, a non caricare di troppa importanza la prova referendaria”. Pure con simpatiche e goliardiche battute: “Matteo, ma che ci frega del bicameralismo. Ce l’abbiamo da settant’anni...”.
Niente da fare. E ora? Il Pd deve rifondarsi ma da solo non basta: serve un “blocco democ ra ti co ”. E lui che fa? Papa Francesco a fine incarico gli diede un consiglio premuroso: “Ora si riposi presidente”. Gentiloni ne fu commosso, ma non persuaso: “Chissà se lo ascolterò”.
Io c’ho provato... Sul referendum ha detto a Matteo di non “caricarlo” troppo: “In fondo che ci frega a noi del bipolarismo”