Di Maio inflessibile: “Chiare le nostre regole”
Il leader del Movimento e l’ipotesi di condanna: “Deve dimettersi”
Lei non ne vuole proprio parlare: “Andrà tutto bene”, “Vedremo”, “Faremo le nostre valutazioni”. Ma lo scaramantico tergiversare della sindaca di Roma poco si addice alle abitudini del politburo grillino. Che ieri, per voce del suo capo Luigi Di Maio, ha emesso il suo verdetto, ventiquattr’ore prima del tribunale: “Io non conosco l’esito del processo, ma il nostro codice etico parla chiaro”. Dice, per chi non lo sapesse, che nel Movimento 5 Stelle una condanna, anche solo in primo grado, “costituisce condotta grave e incompatibile con il manteni- mento di una carica elettiva”. Insomma, dimissioni.
Se anche oggi il processo per la nomina del fratello di Raffaele Marra dovesse finire in una bolla di sapone, non passerà così leggero il malumore del Campidoglio nei confronti dei colleghi del “nazionale”. Non è piaciuta, per niente, la durezza con cui Di Maio ha risposto ai giornalisti della stampa estera ieri mattina. È sembrata, agli occhi degli osservatori dell'aula Giulio Cesare, come l’ennesima conferma che il rapporto tra la giunta Raggi e il governo gialloverde sia ormai da separati in casa.
PRIMA l'affare Marra, poi il “tutoraggio” degli attuali ministri Fraccaro e Bonafede, ancora dopo il caso Lanzalone, infine gli attacchi dell’alleato di governo Matteo Salvini. Le occasioni di frizione in questi due anni non sono mancate. Tanto più che dieci giorni fa, sull'amministrazione capitolina, è piovuta la doc- cia fredda del “no” ai 180 milioni promessi per riparare le buche della Capitale: se ufficialmente la sindaca se l’è presa con il ministro dell'Economia Giovanni Tria, fuori busta raccontano che a non averli difesi sia stato il collega di partito, Danilo Toninelli.
L'AFFONDO di Di Maio, insomma, arriva in un clima da nervi tesi. E non aiuta a rasserenare gli animi della sindaca e dei consiglieri. Quella del capo politico sarà pure un’ovvietà, ma nei mesi scorsi più di qualcuno aveva studiato possibili exit strategyin caso di condanna. “Nessuna avrà il nostro avallo”, è la replica dai vertici del Movimento. Sbarrata la porta di un “referendum” online sul caso Raggi, dunque, resterebbe aperta la via dell’autosospensione: per andare avanti senza il simbolo M5S, pe- rò, servirebbe il sostegno della maggioranza dei consiglieri comunali. Va detto che l’aria in Campidoglio è piuttosto avvelenata. C’è chi ricorda i “tanti sassolini” che ci si potrebbe togliere se si andasse allo scontro con Di Maio e soci, chi è terrorizzato dall’idea di non avere una seconda chance di rielezione, chi si preoccupa del fatto che l’amministrazione debba interrompersi per cause di forza maggiore proprio ora che si cominceranno ( sic) a vedere i frutti del lavoro di questi due anni. Comunque vada, oggi, la partita tra Campidoglio e Movimento, si chiude solo a metà.
In Campidoglio Sgradito l’affondo del vicepremier subito dopo il taglio dei fondi da parte dei Tria