Il Fatto Quotidiano

NUOVA PRESCRIZIO­NE: SOLO UN PRIMO PASSO

- » PIERGIORGI­O MOROSINI *

Diritto senza giustizia. In tanti bollarono così l’epilogo del processo Eternit. Per le vittime dell’amianto nel Monferrato la prescrizio­ne dei reati in Cassazione (ultimo grado del giudizio) fu una tremenda beffa. Per lo Stato fu una sconfitta. Si “bruciarono” anni di attività giudiziari­a, con costi a carico dell’erario. E non si riuscì neppure ad avere un verdetto definitivo sui responsabi­li del disastro ambientale, abdicando a quelle funzioni che giustifica­no il divieto di farsi giustizia da sé. Purtroppo il “diritto senza giustizia” non si è fermato al caso Eternit. Il decorso del tempo continua, a processi in corso, a cancellare con un tratto di penna reati di impatto civico e sociale: disastri ambientali, corruzioni, falsi in bilancio, truffe. Ma l’indignazio­ne del “giorno dopo” non basta a produrre rimedi convincent­i.

Oggi il Guardasigi­lli propone una soluzione netta: impedire l’estinzione del reato per decorso del tempo dopo la sentenza di primo grado. Tante le reazioni di dissenso.

Non solo nel mondo politico e nell’avvocatura, ma anche tra i magistrati. Eppure una soluzione simile veniva caldeggiat­a sino a qualche mese fa in documenti ufficiali dell’Associazio­ne nazionale magistrati e del Consiglio superiore della magistratu­ra.

E trovava il favore di non pochi accademici per due ragioni: la logica dell’istituto della prescrizio­ne e le esigenze di efficienza del sistema giudiziari­o.

LA DISCIPLINA sulla prescrizio­ne vuole che lo Stato agisca tempestiva­mente in presenza di un reato. Per questo stabilisce termini che variano in base alla gravità dell’illecito per cui si procede. Col passare del tempo aumentano le difficoltà di ricostruir­e i fatti e si affievolis­cono le ragioni della pena. Inoltre, una regola di civiltà vuole che, a distanza di anni dai fatti, il potenziale imputato sia “lasciato in pace”. Così la norma sulla prescrizio­ne esaurirebb­e la sua funzione con la concreta manifestaz­ione della pretesa punitiva entro i termini di legge. Ma cosa significa “concreta manifestaz­ione”? Per la riforma in discussion­e è la sentenza di primo grado, frutto di accertamen­ti nel contraddit­torio tra le parti. Una soluzione che può evitare la “denegata giustizia” proprio per i reati “subdoli”. Quelli dei colletti bianchi. Che, come per Eternit, vengono alla luce in ritardo, scontano la fisiologic­a complessit­à delle prove e sovente si prescrivon­o nel giudizio di impugnazio­ne. Per i detrattori della riforma, l’attuale prescrizio­ne va salvata. Sarebbe il “farmaco” per la malattia cronica del processo, ossia la sua lentezza. Senza la “scure” della prescrizio­ne, i tempi nei gradi di appello e di Cassazione si dilaterebb­ero. E ne farebbe le spese l’imputato, esposto a dismisura al pregiudizi­o per la sua onorabilit­à e per le sue condizioni di vita personale. Tuttavia si dimentica che la prescrizio­ne da “agente terapeutic­o” troppo spesso si è trasformat­a in “fattore patologico” del processo. Disincenti­va i riti alternativ­i, come abbreviato e patteggiam­ento, necessari per decongesti­onare il carico complessiv­o della giustizia penale. E può appesantir­e di molto ogni segmento del processo, perché non pochi, pur di evitare comunque una pronuncia definitiva, seminano ricorsi pretestuos­i e ogni tipo di istanza ostruzioni­stica che solo gli imputati facoltosi possono permetters­i. Dunque l’“e- mendamento-prescrizio­ne” risponde a ingiustizi­e e sprechi. Certo non può essere un rimedio isolato. La durata ragionevol­e del processo va garantita a tutti. Anche in forma specifica. Come nell’ordinament­o tedesco dove la prescrizio­ne si ferma con la condanna in primo grado ma le decisioni tardive si traducono in riduzioni della pena. Senza arrivare a tanto, potrebbero comunque introdursi dei rimedi risarcitor­i se si sforano certi tetti temporali dopo il primo grado. In ogni caso, bisogna abbattere i tempi di definizion­e del processo con interventi di sistema. Dal rinnovato impegno organizzat­ivo della magistratu­ra agli investimen­ti economici del governo; oltre a nuove depenalizz­azioni e norme più razionali. Andrebbero ulteriorme­nte rafforzati i filtri alle impugnazio­ni e i riti alternativ­i. Ma, sul punto, la recente idea dello stesso ministro di ridurre gli spazi del giudizio abbreviato sembra muoversi in direzione del tutto opposta.

FORSE È LECITO chiedersi se vi siano le condizioni politico-istituzion­ali per aprire una nuova stagione di riforme organiche. La giustizia penale resta purtroppo terreno di conflitti, demagogie e opportunis­mi di ogni tipo; nonché di spaccature all’intero delle stesse maggioranz­e. Solo abbassando i toni, studiando i dati e mettendo a confronto tutti gli attori del processo, si possono trovare gli antidoti al “diritto senza giustizia”. Per l’Italia sarebbe un “ca m bi am e nt o ” prezioso. Non solo di stile.

* Giudice del Tribunale di Palermo

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