“L’ispettore del lavoro stava con le aziende”
L’ex direttore (arrestato) accusato di corruzione insieme all’imprenditore Capaldo
Il paese di Sottosopra nei rapporti tra imprese e lavoratori si intravedeva già con chiarezza in un’in terr ogazione parlamentare del luglio 2016, firmata da un deputato avellinese di Sel, Giancarlo Giordano. Rilanciava una denuncia del sindacato Usb e un loro volantino dal titolo “Figli e figliastri, tutti hanno famiglia”.
Nel paese di Sottosopra il dirigente dell’ispettorato del Lavoro non tutela i dipendenti ma le aziende. Perché ha le sue buone ragioni: l’impresa da proteggere gli ha assunto il figlio ingegnere. E quindi gli ispettori a lui sottoposti devono fare finta di nulla. E se non lo fanno scattano pressioni, azioni disciplinari. Ed in mezzo ci sono gli operai delle aziende “tutelate”, figli di nessuno: povera gente che privata di diritti e di informazioni importanti per decidere in piena coscienza, accettava di firmare verbali di conciliazione a condizioni svantaggiose. Anche perché minacciata.
Il paese di Sottosopra è Avellino e il dirigente in questione è Renato Pingue, capo dell’Ispettorato interregionale del lavoro di Napoli e quindi di tutto il meridione, che due anni fa all’epoca dei fatti era ‘reggente’ del capoluogo irpino. Da ieri Pingue è agli arresti domiciliari su ordine del Gip Fabrizio Ciccone. Nelle informative del nucleo investigativo dei carabinieri, la Procura guidata da Rosario Cantelmo ha ricostruito accuse di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio in concorso con Gerardo Capaldo, già sindaco di Atripalda e legale rappresentante della Antonio Capaldo spa, colosso nel settore della logistica e dei servizi.
SECONDO IL PM Capaldo, indagato a piede libero, ha assunto come dirigente il figlio del dirigente dell’ispettorato, l’ingegnere Luca Pingue, per ottenere qualcosa in cambio dal padre. Era il periodo in cui l’ispettorato contestò delle irregolarità nell’appalto di fornitura di servizi di movimentazione merci, pulizia e fac- chinaggio della Natana.doc spa, che aveva subappaltato a cooperative nelle quali operavano lavoratori che a quel punto avrebbero maturato dei diritti retributivi e contributivi. Su queste irregolarità si sarebbe chiuso un occhio. In che modo? Dall’ispettorato, Pingue si sarebbe attivato per far spedire agli 83 lavoratori coinvolti delle lettere che dimenticavano di citare i loro diritti di rivalsa verso l’impresa Capaldo. Compresa la facoltà – si legge a pagina 2 dell’ordinanza – di chiedere loro l’assunzione diretta. Soli e dimenticati, senza sindacalisti affianco, gli operai hanno firmato conciliazioni che hanno consentito alle imprese di risparmiare quasi 2 milioni di euro – il Gip ne ha ordinato il sequestro – e sulle quali hanno pesato anche larvate minacce, del tipo “ma che fai birbantello… se non firmi perdi Filippo e Panaro… ti conviene firmare perché il posto di lavoro è caro ed è un peccato che lo perdi”. Su questi episodi ci sono indagini per estorsione. L’a vvocato di Capaldo, Luigi Petrillo, replica: «È assolutamente impensabile che Pingue abbia voluto favorire la Capaldo spa: Pingue ha applicato alla ditta una sanzione di circa sei milioni di euro, nel maggio del 2016, subito dopo l'assunzione del figlio”.
La tesi dei pm L’impresa in questione avrebbe anche assunto il figlio del dirigente per ottenere favori