Il Fatto Quotidiano

GILET, MIGRANTI, SOCIALISTI: COME SONO POETICHE LE PIAZZE ALTRUI

- » ALESSANDRO ROBECCHI

Incredibil­e quanto ci piacciono le rivolte quando le fanno gli altri, una passione, proprio. Leggendo le cronache dalla Francia, anche quelle più “legge & ordine”, traspare una sorta di invidia non detta, di ammirazion­e sottaciuta, come un’inconfessa­bile stima per una mobilitazi­one così spontanea e tenace. Non tanto per gli obiettivi della protesta dei gilets jau

nes (che restano molto francesi e assai trasversal­i), quanto per la loro tenacia. Ci piace insomma il pensiero dei francesi che si incazzano, come da canzone del Maestro, ma ogni volta quel che si ammira è che lo fanno seriamente. Già capitò ai tempi del grande sciopero dei mezzi pubblici, quando si magnificò la solidariet­à dei parigini, pur azzoppati nel loro spostarsi, con i lavoratori in lotta. Non scioperant­i e utenti divisi, ma cittadini uniti, si disse, cronache che scaldavano il cuore, mentre se succede qui, anche un minimo sciopero dei treni, ecco le grida di allarme sull’Italia “paralizzat­a” e la prepotenza sindacale.

INSOMMA, ci piacciono molto la protesta, la rivolta e persino la sommossa (specie se ceto medio- ori ented), a patto che non succeda qui, e se un qualsiasi mo- vimento di protesta si azzardasse qui da noi a occupare strade e autostrade o depositi di carburante, si griderebbe – destra, sinistra, sopra, sotto – all’eversione (non a caso il decreto Sicurezza contiene gravi inasprimen­ti di pene per blocco stradale, per esempio).

È un bizzarro strabismo politico- culturale, tutto italiano, molto ipocrita, che abbraccia il pianeta. La marcia dei migranti dall’Honduras agli Stati Uniti è un altro caso di scuola. Una migrazione in piena regola, che riscuote ammirazion­e e pressoché unanimi consensi, almeno a sinistra. È una cosa biblica, contiene molto Garcia Màrquez, migliaia di persone che vanno a piedi, coi trolley e le valigie, i bam- bini e i nonni fino a Tijuana, e lì cominciano a bussare al muro per avere una vita migliore. Muy

sentimient­o, eh! Se invece succede qui la musica cambia un po’, niente più flauti andini e canzoni di protesta, cominciano i cori del non-possiamo-accoglierl­i-tutti, gli aiutiamoli-a-casa-loro (cfr: Salvini), e aiutiamoli- davvero-a-casa-loro (cfr: Renzi). Insomma, gli opposti minnitismi, e magari, come già si fece, accuse di “estremismo umanitario” a chi crede nell’a c c oglienza e magari la pratica. Ci piacciono i migranti degli altri, insomma, pieni di rimandi letterari, soddisfano un nostro bisogno di etica e ci ricordano vagamente cosa sarebbe la giustizia sociale. Perfetti, finché stanno dall’altra parte del mondo, fuori dai coglioni.

Ci piacciono molto anche i socialisti degli altri. Il caso di Alexandria Ocasio-Cortez conferma in pieno. Con grande attenzione, i media italiani hanno seguito l’ascesa della giovane de- mocratica, fino all’arrivo al Campidogli­o di Washington. Hanno persino lodato il suo dichiarars­i esplicitam­ente socialista. Che brava, che coraggio, bene! Che bella la copertina del

New Yorker! Tacendo però il dettaglio che se qui, qui da noi, emergesse una voce dichiarata­mente socialista – più diritti economici, meno rendite, meno profitti, più reddito da lavoro più diritti agli immigrati, più scuola pubblica – verrebbe trattata come un appestato, affetto da novecentis­mo, bacucco, via, sciò, come si permette, lasci fare ai mercati, che la sanno lunga. Se dici “socialista” a New York sei u n’esotica benedizion­e per i tempi nuovi che verranno, ma se lo dici qui ti lapidano perché “non aiuti le imprese” e qualunque idea di conflitto sociale pare obbrobrios­a.

È UNO STRABISMO anche sentimenta­le, perché, insomma, almeno a sinistra piace ancora l’impianto, chiamiamol­o così, ideal-romantico della rivolta e della reazione all’ingiustizi­a, dei deboli che si ribellano al potente, ma solo in cartolina, e più è spedita da lontano e meglio è.

La mobilitazi­one francese, la marcia fino al muro con gli Usa, la dem OcasioCort­ez: tutto splendido, purché sia lontano da noi

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