Panico da spread: fino a 330 prima della sentenza Ue
Picco a 330, oggi il giudizio sulla manovra . Giorgetti: “Stop alla speculazione”
Difficile dare una spiegazione univoca dell’i mpennata dello spread di ieri, prima fino a 330 poi assestato a 326 punti. Ce ne sono almeno tre, nessuna indulgente per l’Italia e nessuna ottimistica. La prima: i timori per la frenata globale dell’economia, le fibrillazioni dei titoli tecnologici a Wall Street, la Borsa di Milano crolla dell’1,9 per cento ma per una volta non è la sola, scendono tutte in Europa, anche Francoforte (- 1,6). Come sempre, quando il mondo frena, l’Italia inchioda.
LE ALTRE DUE spiegazioni riguardano il verdetto che la Commissione europea pronuncerà oggi, la prima (quasi certa) bocciatura formale della legge di Bilancio 2019. Ipotesi minima: i mercati scontano l’annuncio dell’apertura di una procedura eccesso di deficit strutturale (cioè che esclude gli effetti del ciclo economico e le misure una tantum), che è ancora parte del “braccio preventivo” del patto di stabilità: l’Italia doveva ridurre quel parametro dello 0,6 per cento del Pil, lo farà aumentare dello 0,8. La Commissione potrà proporre al Consiglio (governi nazionali) di sanzionare l’Italia, per fermarle ci vuole una maggioranza di blocco. Pericoli concreti per l’Italia: pochi e non immediati. Ma per i mercati può risultare lo scenario peggiore, con il governo italiano che passerà i mesi di campagna elettorale pre-Europee ad attaccare Bruxelles, senza avere veri limiti sui conti.
L’altra possibile spiegazione del comportamento degli investitori ieri è che invece si stiano preparando a uno scontro molto più duro tra Italia e Commissione: l’apertura di una procedura d’infrazione per debito eccessivo. La scelta del governo Conte di sconfessare le promesse di riduzione del deficit strutturale dell’indebitamento fatte a luglio e, prima, dai governi Renzi e Gentiloni ha un effetto retroattivo: gli sconti concessi negli ultimi due anni si rivelano privi di basi (la promessa era: oggi non tagliamo, ma lo faremo presto). Per approvare le sanzioni in questo caso serve una maggioranza qualificata in Consiglio, difficile da ottenere ma a oggi l’Italia è isolata. In tanti cominciano ad auspicare la procedura per debito: l’Italia perderebbe il diritto a ogni flessibilità (negli anni di Renzi e Gentiloni ha ottenuto il permesso di fare deficit aggiuntivo per 40 miliardi) e dovrebbe impegnarsi a significativi sforzi di riduzione del debito. Per anni la nostra politica economica sarebbe appesa ai verdetti della Commissione, molto più di oggi.
Per chiarire il clima intorno all’Italia bastano le parole di Danièle Nouy, capo (a fine mandato) della vigilanza bancaria della Bce: “Sarebbe molto triste” se le banche italiane “fossero colpite dalle conseguenze del dibattito politico. Ma sono cose che succedono, i problemi delle banche greche sono cominciati con discussioni politiche, teniamo le dita incrociate”. In realtà qualche conseguenza sulle banche italiane si vede già: a parte i crolli di Borsa (Intesa Sanpaolo, la più sana, ha perso il 37 per cento in sei mesi), ci sono effetti anche sui prestiti. Secondo un report mensile dell’Abi, l’associazione delle banche, il tasso medio per i nuovi mutui è passato da 1,80 per cento di settembre a 1,87 di ottobre, i finanziamenti alle famiglie in un mese sono passati dall’1,45 per cento medio a 1,60.
LA LINEA DEL GOVERNO è che si tratta soltanto di passeggera “speculazione” (Matteo Salvini). E il sottosegretario leghista Giancarlo Giorgetti annuncia il blocco delle vendite allo scoperto, che permettono di vendere titoli che ancora non si posseggono scommettendo di comprarli quando il loro valore si sarà ridotto. Peccato che, lo ha dimostrato uno studio dello European Systemic Risk Board sugli anni 2008-2012, vietare la speculazione può addirittura peggiorare la volatilità: i mercati recepiscono il segnale che il governo è davvero preoccupato. E così cominciano a vendere non gli speculatori ma fondi e banche che hanno i titoli davvero in portafoglio. Anche i piccoli risparmiatori ormai si fidano poco: la domanda per i Btp Italia è stata ieri di 281,3 milioni, dopo i 481,3 di lunedì, il peggior risultato per questo tipo di titolo dal 2012.
Anche in Grecia tutto cominciò con le banche colpite dal dibattito politico Incrociamo le dita
DANIÈLE NOUY