Libia, proiettili di gomma sui migranti della nave Nivin
La Guardia costiera nordafricana sbarca con la forza 79 persone. Circa 10 feriti – 5 secondo fonti Unhcr – tutte persone intossicate dal gas o colpite dagli spari
vogliono, ma io non scendo. Anche se non mi danno da mangiare. Ho deciso così. Non è solo la mia decisione. È quella di tutti i 79 migranti che sono a bordo. Non scenderemo. Fino alla morte. Ci serve una soluzione. Una soluzione in fretta perché siamo in cattive condizioni. se vedeste in quali condizioni, anche per un microsecondo... nessuno può vivere in questo paese”. Nessuna soluzione. Ieri è arrivato l’intervento dei militari libici. Credevano di essere fuggiti dal loro inferno, quando la Nivin li ha soccorsi dal barcone che rischiava l’affondamento: “Quelli della Nivin – hanno riferito i sopravvissuti – ci hanno detto che ci avrebbero portato in Italia, non a Misurata. Abbiamo avvistato Malta. Poi ci hanno riportato indietro”. L’organizzazione Mediterranea – alla quale partecipano la Ong Sea Watch, Arci, Ya Basta Bolo- gna, e parlamentari eletti con Leu Erasmo Palazzotto e Nicola Fratoianni – il 16 novembre ha segnalato che le “autorità italiane, fin dall’inizio, sono state coinvolte nel caso, ordinando alla Nivin di deviare dalla sua rotta, operare il salvataggio e contattare la Libia attraverso il centralino del centro di coordinamento ita- liano ubicato a Roma”. Niente di irregolare, considerato che la Libia s’è vista riconoscere una propria zona di salvataggio – Sar zone – ed è legittimata a intervenire. Il punto è che, per quanto possa esserlo sulla carta, nella realtà non è considerata un porto sicuro né dai migranti né dall’Onu che, in più di un’occasione, ne ha denunciato i crimini – stupri, rapine e torture – sulle persone, perpetrati nei centri di detenzione gestiti dalle milizie. “Siamo profondamente rattristati – è la posizione de ll ’ Unhcr interpellata dal Fatto– dalle notizie che giungono da Misurata dove si contano feriti dopo l’uso della forza. La riluttanza dei migranti a lasciare le condizioni di sicurezza a bordo della nave, la paura di essere destinati alla detenzione, è una reazione umanamente comprensibile. Non conosciamo le loro singole storie. Ma sappiamo che alcuni di loro potrebbero avere bisogno di protezione internazionale. Seguiremo i loro casi e ribadiamo la nostra richiesta alle autorità di istituire strutture d’accoglienza che offrano, per chi è sbarcato in Libia dopo un salvataggio in mare, un’alternativa alla detenzione”.
Porto di Misurata
Per dodici giorni si sono barricati nel mercantile rifiutandosi di sbarcare Vengo dall’Eritrea – dice Cristin Igussol – e sono in Libia dal 2016 Mi hanno venduto tre volte, mi hanno punito, mio fratello è morto tra le mie braccia Se sbarco mi ammazzano