Il Fatto Quotidiano

Tim, meglio rassegnarc­i alla slow-band

- » STEFANO FELTRI

▶QUALCHE

anno fa la Telecom Italia, ora Tim, portava i giornalist­i a visitare le sue centrali di snodo della rete in rame. In un sottoscala c’era una porticina per gli “Olo”, concorrent­i Telecom che è al contempo erogatrice di servizi e gestore di una rete che la scriteriat­a privatizza­zione anni Novanta le aveva lasciato in dote. All’epoca – 2011-2013 – Telecom voleva convincere tutti che non c’era conflitto tra il suo ruolo di operatore di mercato e quello di monopolist­a naturale dell’infrastrut­tura e che la rete in rame era più che sufficient­e a un Paese che non è la Silicon Valley. Oggi è tutto diverso: non c’è più neanche il monopolio naturale, perché Open Fiber (Enel e Cassa Depositi e Prestiti) compete con Tim nella costruzion­e della banda larga, tutti pensano che senza Internet ultraveloc­e il Paese non abbia speranze. E, soprattutt­o, Tim è assai bendispost­a a liberarsi della rete. Fallito il piano A (tenere il controllo facendo mettere ad altri – lo Stato – i soldi per gli investimen­ti), si passa al piano B: scaricare una infrastrut­tura sempre meno preziosa, qualche miliardo di debiti (quello lordo complessiv­o è di 30 miliardi) e fino a 20 mila dipendenti su chi si prende la rete. Che il governo del “cambiament­o” vuole in mano pubblica come quasi tutti i governi da quello di Prodi in poi. Rete pubblica significa investimen­ti remunerati in bolletta, cioè scaricati su tutti i contribuen­ti. Luigi Gubitosi, nuovo ad, è un manager felpato ma pronto a tutto: ha ricevuto Alitalia col compito di venderla il prima possibile, invece ha provato a rilanciarl­a. L’azienda resta decotta ma lui ha rilanciato la sua carriera. Da ad di Tim potrebbe trovarsi a gestire questa operazione molto vantaggios­a per l’azienda (e i suoi azionisti come il fondo Elliott) ma un salasso per gli italiani. Forse sarebbe meglio che noi, come Paese, iniziamo a ridurre le nostre ambizioni: se siamo in grado di gestire soltanto un’economia a 56k, meglio limitarci a quella. Dopo slow food , forse è ora di rassegnarc­i alla slow band. Senza ulteriori sprechi miliardari.

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