Astaldi , così le banche hanno scaricato la crisi su migliaia di famiglie
Il collasso di Astaldi, terzo global contractor italiano nel settore delle opere civili in piena crisi finanziaria – a settembre ha chiesto l’ammissione al concordato preventivo –, non mette in gioco solo il futuro di 11 mila dipendenti, della famiglia proprietaria, degli azionisti e delle banche che vantano crediti per 2 miliardi. Nel dissesto sono coinvolti anche migliaia di risparmiatori che, dal 2015 in poi, hanno ricevuto consigli “interessati” per acquistare (a colpi da 100 mila euro a pezzo) le obbligazioni emesse tra dicembre 2013 e febbraio 2014 dalla società romana. Un bond ad alto tasso (cedola fissa del 7,125%) e ad alto rischio che molte banche, attraverso le proprie reti di promotori e private banker, hanno provveduto a far transitare dai propri portafogli a quelli di clienti tanto golosi quanto imprudenti. Chi ha investito i propri soldi nell’obbligazione, ai corsi di Borsa attuali, perde anche sino all’80 per cento.
I BOND, prima quotati alla Borsa del Lussemburgo (con offering memorandum scritti in inglese al posto dei prospetti in italiano), dal 2015 vengono trattati anche su Borsa Italiana al segmento ExtraMot e ai mercati telematici EuroTlx e Hi-Mtf. Per le loro caratteristiche di rischio e rendimento, come pure per l’elevatissimo taglio unitario, sono titoli adatti solo a investitori istituzionali (banche, assicurazioni, finanziarie, fondi comuni). Ma secondo alcune fonti, dopo l’ammissione alle quotazioni sui mercati italiani è scattata un’operazione di “scarico” per cui molti investitori istituzionali hanno iniziato a cedere i bond che possedevano: prima ai fondi comuni e altri strumenti collettivi di investimento direttamente controllati e poi anche ai risparmiatori. Secondo alcune fonti raccolte dall’associazione dei risparmiatori Aduc i piccoli investitori oggi deterrebbero bond Astaldi per 250 milioni, un terzo del totale. La sola Aduc ha ricevuto segnalazioni da risparmiatori che ne possiedono una cinquantina di milioni.
La storia dell’obbligazione è paradigmatica. Il 4 dicembre 2013 Astaldi emette il prestito obbligazionario senior high yield con scadenza primo dicembre 2020 per un primo ammontare di 500 milioni. Le banche che collaborano alla raccolta degli ordini sono Deutsche Bank, Bbva, Bnp Paribas, Credit Agricole Cib, Credit Suisse, Hsbc, Ing, Natixis e alle italiane Banca Imi (gruppo Intesa SanPaolo) e UniCredit. L’offerta ha un tale successo (la richiesta supera di ben quattro volte l’offerta) che nei giorni successivi Astaldi emette una seconda tranche (il 9 dicembre 2013, da 100 milioni) e poi una terza, il 14 febbraio 2014, raccogliendo altri 150 milioni.
Ma a cosa serve il bond? Lo indicano i prospetti (in inglese), lo conferma il bilancio 2013 della società romana: i fondi raccolti furono usati per rimborsare integralmente un finanziamento da 325 milioni organizzato da UniCredit, Bnp Paribas, Intesa SanPaolo e Royal Bank of Scotland, e anche un altro da 250 milioni concesso da un pool di istituti di credito.
Nonostante la riuscita de ll ’ operazione negli anni successivi la situazione debitoria di Astaldi restava pesante (circa 2 miliardi) ma la società era sostenuta dalle banche perché le sue commesse erano valutate circa 35 miliardi. Il debito è in gran parte in mano a UniCredit, Intesa SanPaolo, Bnl – Bnp Paribas e Banco Bpm. Ma nell’autunno dell’anno scorso la società era costretta a far emergere una maxi-svalutazione da 200 milioni dei crediti vantati in Venezuela. A quel punto in Borsa l’azione perdeva un terzo del valore in pochi giorni e il prezzo del bond crollava da circa 102 a meno di 63. Il 14 novembre 2017 Astaldi prevedeva un aumento di capitale da 200 milioni. A dicembre 2017 il corso del bond si riportava intorno a 80 e la cedola semestrale veniva regolarmente pagata.
A GENNAIO scorso, però, le banche finanziatrici di Astaldi chiedevano una verifica sui conti e in seguito spingevano perché l’aumento di capitale salisse a 300 milioni. A maggio la società annunciava di aver trovato un “cavaliere bianco” nel gruppo giapponese Ihi, il quale legava il proprio intervento alla cessione da parte degli italiani della loro concessione per realizzare il terzo ponte sul Bosforo a Istanbul per almeno 185 milioni (a libro era valutata 350). Ma a luglio la lira turca crollava e ai primi di settembre le agenzie di rating declassavano Astaldi a livelli da default. Si iniziava a parlare di ristrutturazione del debito e il bond crollava sotto quota 30, valore intorno al quale si trova tuttora (l’ultimo prezzo è sotto quota 23). Il 27 settembre la società deliberava la richiesta di accesso al concordato preventivo in continuità. Il patron Paolo Astaldi cerca ancora di far entrare i giapponesi di Ihi e di vendere la concessione di Istanbul per dare spinta al piano di salvataggio che potrebbe essere presentato a metà febbraio e intanto va in cerca di prestiti ponte da 150 milioni che evitino la chiusura dei cantieri. Ma al piano servirà il via libera dei creditori senza il quale la società potrebbe finire in procedura fallimentare. Salini Impregilo, il colosso internazionale delle grandi opere, nelle scorse settimane si era fatta avanti per “salvare” Astaldi ma la sua proposta nei giorni scorsi è stata rivista.
Migliaia di risparmiatori che hanno comprato l’obbligazione ora tremano e cercano informazioni per organizzarsi. Se tutto andrà per il meno peggio, potrebbero essere chiamati in assemblea a decidere su un sostanzioso taglio del valore dei loro bond. L’alternativa che nessuno vuol menzionare è il default.