Nekrosius, l’umore nero mancherà al teatro
È morto il regista e attore lituano orgogliosamente ombroso
stato uno dei più importanti registi teatrali degli ultimi 40 anni: un lupo nella steppa, ombroso, glaciale, occhio azzurro vagamente luciferino. Se non avesse sposato l’ar t e drammatica, “forse sarei stato in strada a chiedere l’elemosina, oppure mi sarei ritrovato in prigione. Chissà”: Eimuntas Nekrosius è morto l’altra notte di infarto a Vilnius. Oggi avrebbe compiuto 66 anni: lascia una moglie, due figli e l’intera comunità dei teatranti in lacrime.
Famoso per lo humour nero e l’umore nerissimo, Nekrosius era orgogliosamente lituano, nonostante la fama internazionale, fumatore incallito e riluttante all’e t ichetta di maestro, da più parti affibbiatagli: “Non saprei perché dovrei insegnare a uno a scrivere con la mano de- stra anziché con la sinistra. Non ho allievi”. A Vilnius, sua città elettiva, stava provando in questi giorni l’Edipo a Colonoper il Festival di Napoli del prossimo giugno, festival di cui era stato ospite in passato con laboratori e spettacoli.
IL REGISTA ha lavorato spesso e volentieri in Italia, come pedagogo ma soprattutto come direttore, cimentandosi anche in regie liriche ( Faust di Gounod e Macbeth di Verdi) e coi classici non squisitamente teatrali, come la Divina Commedia di Dante (“labirintica: ero curioso di capire se e come potesse essere trasferita sul palcoscenico”), il Cantico dei cantici e il Libro di Giobbe, imbastito nel 2013 al Teatro Olimpico di Vicenza, che diresse per due anni, dopo aver fatto incetta di Premi Ubu.
Furono le Tre sorelle, nel 1995, a catapultarlo dal palco di Taormina alla ribalta internazionale, e da allora sua croce e delizia restarono sempre Cechov e Shakespeare: Ivanov, Zio Vanja, Il gabbiano, da una parte; Amleto, Otello, Macbeth, dall’altra. E ancora, Il giardino dei ciliegi; Faust di Goethe; Anna Kare- nina di Tolstoj; Idiotas di Dostoevskij, salvo rinnegare anni dopo l’autore, bollandolo come “troppo maniacale, lo si apprezza solo quando si è giovani”. Proprio del Teatro giovanile di Vilnius Nekrosius era stato direttore all’inizio della carriera, tra la fine degli anni Settanta e gli Ottanta; dopodiché, nel 1998, fondò il Teatro-Studio Meno Fortas (“L’arte del forte”), con la cui compagnia si fece conoscere in tutto il mondo, dalla ex Jugoslavia all’America, da Israele alla Svizzera.
SARÀ RICORDATO soprattutto per il suo eccelso lavoro con gli interpreti, lui che prima di diventare regista si era diplomato a Mosca, nel 1978, come attore: dalla grande scuola sovietica (di recitazione e non solo) si portò a casa il gusto per “l’autenticità”, non lo psicologismo spinto. In scena – spesso austera – a- mava giocare con i corpi dei performer, gli oggetti e la materia. Non gradiva gli orpelli, gli effetti speciali né certa drammaturgia contemporanea: “Ci sono autori interessanti, ma li lascio ai registi più giovani: tra di loro si intendono meglio... Ci sono teatri che si occupano di cronaca o di attualità, e lo fanno molto bene, è vero anche questo: non necessariamente dobbiamo seguire tutti la tragedia greca”, come quella che stava appunto abbozzando poco prima di morire e per cui era già pronto a volare a Napoli, il prossimo dicembre, per provinare e scovare i futuri protagonisti. Come molti registi rifuggiva i riflettori, i giornalisti, i critici, le interviste, le dichiarazioni pensose, i coup de théâtre. Domanda: l’arte non ha alcun potere? “No”. Però quella volta un sorriso gli è scappato.