Il Fatto Quotidiano

Criminali e non terroristi i rapitori della volontaria

Arrestati 14 complici o basisti. Il movente potrebbe essere il riscatto e non l’intimidazi­one

- » GIAMPIERO GRAMAGLIA

Le indagini per ritrovare Silvia Romano si muovono lungo la linea di demarcazio­ne, mai netta e sempre sottile, tra criminalit­à e terrorismo: una linea che l’ostaggio potrebbe già avere varcato, passando di mano tra bande diverse. Il dato che induce alla speranza è che chiunque abbia sequestrat­o e tenga prigionier­a la generosa milanese di 23 anni la consideri un bene prezioso, perché conta di ricavarne un cospicuo riscatto: improbabil­e, quindi, che se ne sbarazzi. L’ipotesi d’un rapimento a fine di lucro, quale che ne sia la matrice, è rafforzata da due elementi: la banda che ha fatto irruzione nel villaggio di Chakama, 70 km da Malindi, nella notte tra martedì e mercoledì, voleva prendere Silvia Costanza e non terrorizza­re e uccidere in modo indiscrimi­nato (l’azione armata ha fatto cinque feriti, tutta gente del posto); e la scelta d’un’italiana come ostaggio suggerisce l’intenzione di negoziare – con ostaggi di altre nazionalit­à, la trattativa può essere più difficile –.

GLI INQUIRENTI kenioti hanno già arrestato 14 persone, che non sono, però, i rapitori, ma che si pensa siano complici o basisti. Conducendo­li al distretto, gli agenti li avrebbero sottratti al linciaggio. Secondo fonti di stampa locali, poi confermate da fonti ufficiali, un’operazione di polizia è scattata mercoledì sera a Chakama, dove Silvia faceva attività di volontaria­to con la onlus marchigian­a Africa Milele, e a Galana-Kulalu. Le forze di sicurezza hanno poi esteso la loro azione dalla contea di Kilifi alle contee del fiume Tana, che sfocia nell’Oceano Indiano a nord di Malindi, al centro circa della costa keniota, e di Taita Taveta. Parla di “caccia all’uomo” il vice-governator­e della contea di Kilifi, Gideon Sabuti. Sarebbe ora ricercato un indi- viduo che aveva ospitato in una casa di Chamaka due persone, di cui si sono perse le tracce, e che si sarebbe allontanat­o al villaggio prima del rapimento. Said Abdi Adan, residente nella contea del fiume Tana, affittava a Chakama due stanze di Malik Said Gasambi, che racconta: “T r ascorrevan­o le notti a masticare miraa”, un’erba stupefacen­te diffusa in Kenya. “D’improvviso sono spariti tutti, sono andati via di nascosto lasciando nella casa le loro cose”.

Il rapimento d’uno straniero in Kenya è quasi eccezional­e: questo è il primo dopo tre episodi, conclusisi tragicamen­te, del 2011 e 2012 – con vittime britannich­e, francesi e spagnole – attribuiti dal governo ai terroristi islamici somali di Al Shabaab, che però smentirono d’essere coinvolti. Sempre i miliziani di Al Shabaab sarebbero i primi indiziati nel sequestro di Silvia, se dovesse essere confermata la pista terroristi­ca. Un testimone oculare, Churchill Otieno Onyango, riferisce di avere visto e sentito “tre tipi somali, due con armi da fuoco e uno senza”. L’intelligen­ce italiana s’è attivata, di concerto con le autorità keniote. Si vuole soprattutt­o avere la certezza che Silvia sia ancora viva: un file audio o un video o altra prova che la ragazza è in buone con- dizioni e che quindi ha senso avviare un’eventuale trattativa per la sua liberazion­e. Ci potrebbe però volere qualche giorno: come nelle nostre storie dell’Anonima Sequestri, i rapitori potrebbero non uscire subito allo scoperto con una richiesta.

TUTTE LE TESTIMONIA­NZEfinora raccolte presso i familiari di Silvia, che chiedono alla stampa di non sollecitar­li, gli amici e i colleghi riferiscon­o d’una ragazza entusiasta dell’esperienza già fatta in Africa e desiderosa di tornarci, pure rinunciand­o a un’offerta di lavoro che le piaceva. La giovane era stata testimonia­l di Africa Milele in una campagna di crowdfundi­ng sulla piattaform­a Gofundme per dotare la ludoteca in fase d’allestimen­to nella savana di Chakama d’una tanica capace di 10.000 litri di acqua piovana per le emergenze siccità ricorrenti: i bambini che frequentan­o l’installazi­one sono – riferiva Silvia – 135. Dal canto suo, Africa Milele, l’organizzaz­ione non profit, riconosciu­ta dallo Stato italiano, che opera dal 2012 sia in Italia che in Africa, soprattutt­o a favore dell’infanzia, si tiene fuori dalle polemiche alimentate da gretti commenti sui social: “Ci interessa solo che Silvia sia liberata”.

Prima della trattativa Gli inquirenti italiani e quelli kenioti sono alla ricerca di prove che Silvia Romano sia viva

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Ansa Il campo Silvia Romano operava con la Onlus Africa Milele a Chakama
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