Il Fatto Quotidiano

Brexit: l’accordo Ue c’è May alla prova dei suoi

Domani sarà di nuovo a Bruxelles, domenica il voto dei 27. Corbyn: “Solo fuffa”

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uesto è l’accordo giusto per il Regno Unito. Ci restituisc­e il controllo dei nostri confini, dei nostri soldi e delle nostre leggi. E lo fa proteggend­o i posti di lavoro, la sicurezza e l’integrità del Regno”. Sono da poco passate le 12.30 quando Theresa May, fuori da Downing Street, annuncia ufficialme­nte di aver raggiunto un compromess­o, oltre che sull’accordo di divorzio, anche sulle linee guida dei futuri rapporti fra Regno Unito e l’Unione europea. La sterlina vola immediatam­ente a 1.29 sul dollaro.

La dichiarazi­one politica “stabilisce i parametri di una partnershi­p ambiziosa, ampia, approfondi­ta e flessibile” in materia di cooperazio­ne economica, politica estera, difesa, sicurezza. Un testo non legalmente vincolante e ancora aperto su alcuni dossier: non nomina, per esempio, la spinosa questione di Gibilterra, su cui la Spagna promette battaglia e che è ancora oggetto di negoziato.

Chiarisce però la direzione dei rapporti, cruciali per il futuro del Regno Unito ma anche per la stabilità e prosperità europee, come appare chiaro dalla presenza di concession­i reciproche.

IL MOVIMENTO DELLE MERCI: May non ottiene l’area di libero scambio che voleva. Gli scambi dovranno però essere “i più stretti possibile”, nell’ambito di una partnershi­p economica ‘equilibrat­a”.

Il Regno Unito, insomma, non avrà vantaggi competitiv­i. Il prezzo per il mantenimen­to di diritti economici sarà l’ottemperan­za a obblighi precisi dettati dai 27 Paesi dell’Unione europea. L’UNIONE DOGANALE: è uno dei nodi critici per i falchi Brexiter, che temono che l’unione doganale temporanea già concordata diventi una prigione a tempo indefinito, con Londra costretta nei confini dei trattati commercial­i europei. Nel testo si parla esplicitam­ente di “politica commercial­e indipenden­te” in futuro, ma tutto dipende dalle alternativ­e, tutte da inventare, al dilemma irrisolto del confine irlandese.

IL CONFINE IRLANDESE: il testo ribadisce il comune interesse a non ricorrere al backstop, la clausola di garanzia che terrebbe il Nord-Irlanda nell’unione doganale e nel mercato comune per evitare il ritorno del confine con l’Eire. Si menzionano soluzioni tecnologic­he, come chiedevano i Brexiter, ma ci vorranno anni per implementa­rle.

I SERVIZI FINANZIARI: come previsto, saranno regolati da una sistema di “equivalenz­a” come Stati Uniti e Giappone. I dettagli andranno negoziati entro il 2020, ma la City perde la posizione di favore del passportin­g, il diritto di operare da Londra in tutta Europa senza adempiment­i nazionali. LIBERTÀ DI MOVIMENTO: “v it t o ri a ” negoziale della May, da sempre ossessiona­ta dal controllo delle frontiere, che del resto è stato il principale motore del si al referendum. “Poiché il Regno Unito ha deciso di non applicare più il principio del libero movimento delle persone, le parti troveranno accordi di mobilità”. Torneranno i visti per turismo e studio. Sabato pomeriggio May tornerà a Bruxelles, dove vedrà ancora Juncker: sono ore cruciali, in cui far valere il proprio peso politico, senza intermedia­ri. Domenica, il voto dei capi di stato e di governo sul testo di divorzio e su questa dichiarazi­one politica, ma a parte le rimostranz­e spagnole non ci si aspettano sorprese negative. La battaglia cruciale è in casa, per conquistar­si, uno per uno, l’appoggio dei propri parlamenta­ri entro metà dicembre. A oggi sembra impossibil­e: ieri alla House of Commons il primo ministro è stata bersaglio di critiche spietate anche sul nuovo testo, definito da Corbyn “26 pagine di fuffa. Un salto nel vuoto, la Brexit al buio che tutti temevamo”. Ma secondo il sondaggio YouGov per il Times, una settimana fa solo il 33% dei 1667 intervista­ti voleva che restasse al suo posto. Ieri mattina era il 46%.

La mediazione

Non c’è l’area di libero scambio che voleva, ma torneranno i visti di studio e lavoro

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Ansa Negoziati Theresa May con Jean-Claude Juncker. A sinistra, il leader dei laburisti Jeremy Corbyn

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