Il Fatto Quotidiano

“Giglio magico, l’indagato chiese aiuto a Fanfani”

telefonata di Padoan Moretti, arrestato sabato, in affari con Dagostino (socio di Renzi sr), si rivolse al membro Pd del Csm

- » ANTONIO MASSARI

■ A marzo 2018 l’imprendito­re, poi finito ai domiciliar­i, cerca notizie sull’inchiesta che lo preoccupa. Consegna le carte con i nomi dei finanzieri che indagano al renziano Fanfani, allora al Csm. Negli atti una telefonata di Padoan

Un plico con il frontespiz­io dei decreti di perquisizi­one e l’elenco dei finanzieri che li avevano eseguiti. È il 21 marzo scorso quando Antonio Moretti e Marcello Innocenti - imprendito­ri del tessile, entrambi accusati, dalla procura di Arezzo, di associazio­ne per delinquere finalizzat­a all’autoricicl­aggio - decidono di inviarlo a tale “Beppe”. Da giorni l’obiettivo è carpire notizie s ul l ’ indagine in corso. E il Beppe in questione - secondo l’accusa - è Giuseppe Fanfani, in quel momento membro del Csm in quota Pd, ex sindaco di Arezzo, politicame­nte vicino a Matteo Renzi e anche alla famiglia Boschi che ha difeso, in qualità di avvocato, per le vicissitud­ini giudiziari­e legate a Banca Etruria. Il punto è che anche la famiglia Moretti da un lato porta a Tiziano Renzi e dall’altro alla famiglia Boschi. Il nome chiave, per comprender­e questo snodo, è Luigi Dagostino. La Mora Real Estate dei Moretti, nel 2015, entra in affari con Dagostino, acquistand­o per 430mila euro, dalla Nikila Invest, una partecipaz­ione in Egnazia Shopping Mall srl. È lo stesso Dagostino che, intercetta­to dalla procura di Firenze, nell’inchiesta che vede a giudizio i genitori Matteo Renzi per un giro di fatture false, dice: “A me se il padre del presidente del consiglio, che a quell’epoca era in voga, mi viene a chiedere un lavoro e mi fa un preventivo (la fattura, ndr) non è che mi metto a chiacchier­are di qualche migliaia di euro in meno….”. E poi: “Lo so benissimo che questo (il progetto fornito dalle società di Tiziano Renzi e della moglie Laura Bovoli) è un lavoro che valeva massimo 50-60-70 mila euro, ma se tu me ne chiedi 130 e sei padre del presidente del consiglio mi possono mettere a discutere con te…. Che cosa ti chiedo ‘fammi lo sconto?’”.

PER L’ACCUSA le fatturazio­ni false erano legate al progetto di ampliament­o dell’ou tl et della moda The Mall. Anche Moretti è collegato al The Mall e, proprio con Dagostino, prova a crearne uno vicino Sanremo. E anche l’ex presidente di Banca Etruria, Lorenzo Rosi, entrerà in società con Dagostino per l’affare The Mall. Fanfani, di Banca Etruria, da sindaco di Arezzo, non è stato soltanto il difensore politico, ma anche il legale che s’è occupato di Boschi senior. Fin qui i collegamen­ti cittadini, politici e societari che nulla hanno a che vedere con l’indagine, ma spiegano la caratura dei protagonis­ti. Quel che emerge dagli atti, invece, è che Antonio Moretti e Marcello Innocenti - per entrambi sono stati disposti gli arresti domiciliar­i cinque giorni fa - per bucare l’inchiesta della GdF puntano su Fanfani: pensano di consegnarg­li il plico con gli elementi essenziali dell’indagine che li riguarda. Al Fatto Quotidiano risulta qualcosa in più: quel plico gli è stato poi recapitato. Perché lo inviano proprio a lui? Interpella­to dal Fatto, non appena gli citiamo la data “marzo 2018”, Fanfani chiude la comunicazi­one: “Non vo- glio parlarne. Non mi costringa a chiudere il telefono”. Il punto è che proprio a marzo - era il 21 - Moretti e Innocenti decidono di inviargli il plico in questione. “C’è il riepilogo?”, chiede Moretti. “Sì, tutti i finanzieri che sono stati impegnati”, gli risponde Innocenti. I due sembrano distinguer­e i plichi: “Per la Finanza”, dice Innocenti. “Mentre questo è per Beppe”, continua Moretti. Il riferiment­o alla Finanza si spiega in questo modo: l’imprendito­re, secondo l’accusa, già dai primi di marzo - come anticipato ieri da La Verità - prova a contattare esponenti della Gdf per ottenere informazio­ni riservate: sia con l’ex comandante regionale della Toscana, il generale Michele Carbone, sia con il numero due della Gdf, il generale Edoardo Valente. Missione che a giudicare dagli atti fallisce miserament­e: Carbone viene definito dagli indagati una “testa di cazzo” e anche da Valente non ricavano nulla. Pare che vogliano provarci anche con l’ex generale Michele Adinolfi, ritenuto anch’egli vicino al Giglio Magico, che il 4 marzo viene raggiunto da una telefonata della compagna di Moretti, Paola Santarelli. La signora non è indagata né intercetta­ta. E gli investigat­ori non conoscono il contenuto della telefonata. Al Fatto il generale in pensione spiega: “Non mi fu detto nulla riguardo nessuna indagine. Conosco la signora Santarelli da anni, di tanto in tanto ci sentiamo, in quell’occasione non la sentivo da almeno sei mesi e mi invitò a cena”. Ma la cena non si tenne mai: “Rinviammo - conclude Adinolfi - e non se ne fece più nulla”. Potrebbe essere il segno che Moretti ha trovato un altro canale. Gli investigat­ori - considerat­o che due settimane dopo inviano il plico a “Beppe” - vogliono capire se il canale individuat­o sia Fanfani ( non indagato, ndr). Nello stesso giorno in cui parla con Adinolfi, Santarelli riceve una telefonata dall’ex ministro del Tesoro, Giancarlo Padoan, dal quale dipende la Gdf. Anche di questa conversazi­one non si conosce il contenuto. La coppia tenta forse di avvicinarl­o per sapere qualcosa in più sulle indagini corso? Padoan al Fatto risponde che non intende commentare quella telefonata né rivelarne il contenuto. Quel che è certo, in base agli atti, è che uno dei plichi era destinato a Fanfani, all’epoca presidente della Prima commission­e del Csm. E al Fatto risulta che gli fu consegnato.

L’indizio

”Questo è per Beppe”, dicono. Per l’accusa è il plico da spedire al membro del Csm

L’insulto

”È una testa di cazzo” Parlano del generale Carbone della Gdf dal cui non hanno notizie

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Ansa I protagonis­ti Giuseppe Fanfani e Tiziano Renzi
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