IL METODO MATTARELLA E LE ÉLITE MANICHEE
In mancanza di un’opposizione incisiva, per settimane le speranze delle élite rigorosamente anti- pop uliste di questo Paese hanno sperato nel capo dello Stato per radere al suolo, non per correggere o arginare, l’odiata manovra gialloverde e da lì costruire percorsi alternativi di governo alquanto irrealistici. Di qui il pressing in nome dello spread e la previsione di catastrofi modello Apocalisse, soprattutto dopo la bocciatura dell’Ue. Due quotidiani d’establis hment hanno persino paventato la minaccia, giorni fa, che il presidente della Repubblica non avrebbe firmato la manovra. Invece l’Apocalisse non c’è stata e Mattarella ancora una volta ha confermato la linea del suo mandato presidenziale: fare l’arbitro e segnare una netta rottura con l’interventismo del predecessore. L’ultima prova in queste ore, dopo la rivelazione del Fatto di un incontro riservato tra il capo dello Stato e il vicepremier Luigi Di Maio giovedì scorso.
In pratica, il Colle ha messo in campo la classica moral suasion come vuole la prassi costituzionale di decenni di vita repubblicana. Eppure per coloro che non si rassegnano all ’ esito elettorale del 4 marzo scorso, brutto o bello che sia, il presidente avrebbe dovuto incarnare il ruolo di capo dell’opposizione, vista l’i n c o n s istenza del Pd attuale, e bastonare i cattivi del governo Conte. Ma Mattarella il suo metodo lo annunciò tre anni fa, quando venne eletto, e da lì non si è mosso. Anche per una questione di numeri parlamentari, i tempi del Colle che commissaria la politica e s’inventa governi tecnici su ordine dell’Europa sono finiti. Ai populisti viene spesso rinfacciato un cupo manicheismo che divide il mondo in due, gli onesti e i disonesti e così via. A loro volta, però, le élite hanno commesso lo stesso errore con il loro pregiudizio che martella tutti i santi giorni. E tra opposti manicheismi risalta ancora di più il ruolo decisivo del capo dello Stato. Un arbitro, non un tifoso.