Strasburgo, nessuna sentenza su B.
Ricorso cancellato: i diritti umani non c’entrano (e lui ha cambiato idea)
Non
sapremo mai se Silvio Berlusconi sia stato un perseguitato politico, come ha sempre sostenuto l’ex Cavaliere o se, invece, come la pensano in diversi, giuridicamente parlando, sia stato espulso dal Senato e dichiarato incandidabile secondo giusta legge, la Severino, dopo la condanna definitiva per frode fiscale nell’agosto 2013 (processo Mediaset).
Ieri, la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo (Cedu) ha deciso di “cancellare dal ruolo” il ricorso di Berlusconi, “tenendo conto di tutti i fatti del caso e in particolare della riabilitazione del richiedente l’11 maggio 2018, così come del suo desiderio di ritirare la denuncia”.
La Corte ha deciso di non emettere sentenza nonostante avesse già svolto, prima dei desiderata di “mister B”, diverse camere di consiglio in seguito all’udienza che si era celebrata ben un anno fa. I 17 giudici presieduti dalla tedesca Nussberger, a maggioranza, hanno ritenuto che non ci fossero “circostanze particolari relative al rispetto dei diritti umani” che richiedessero “la prosecuzione dell’esame”. I suoi legali, Coppi, Ghedini, Saccucci e Nascimbene hanno fatto passare la richiesta di non procedere del leader di FI come il gesto nobile di un padre della Patria: “Una condanna dell’Italia avrebbe comportato ulteriori tensioni nella già più che complessa vita del Paese, circostanza che il presidente Berlusconi ha inteso assolutamente evitare”.
TRA UN ATTACCO ai giudici “comunisti” e un’accusa di “complotto politico-giudiziario”, Berlusconi da subito aveva puntato a Strasburgo per poter nuovamente candidarsi. Il suo ricorso risale al 10 settembre 2013, un mese e una manciata di giorni dopo la condanna della Cassazione. Sapeva benissimo che i tempi sono lunghi, forse non così biblici, a dire il vero, ma intanto ha usato la carta della vio- lazione dei diritti umani per provare ad avere ancora un peso politico, sempre con l’occhio attento alle aziende di famiglia.
Nel ricorso si era puntato sulla non retroattività della Severino, vista come una legge penale e non come una sanzione amministrativa. Ma per la Commissione di Venezia, un organismo consultivo della Cedu, le sanzioni sono amministrative e legittimamente disposte dal legislatore. Un ragionamento già sostenuto da una sentenza della Corte costituzionale italiana. Uno dei legali, l’inglese Edward Fitzgerald, l’anno scorso aveva rievocato persino i gladiatori: “Berlusconi è stato privato del suo seggio con un voto in un Senato composto a maggioranza da suoi avversari: non era giustizia ma un anfiteatro romano...”. Quattro mesi dopo quell’udienza, senza verdetto, in Italia ci sono state le elezioni e il condannato Berlusconi non si è potuto candidare ma a maggio la buona novella è arrivata dalla tanto vituperata magistratura milanese: la riabilitazione che gli permette di ricandidarsi anche se resta un delinquente. Dunque, Strasburgo non serve più, soprattutto non conviene affatto rischiare di avere torto. Di non poter usare più l’arma elettorale del perseguitato. Meglio battere la ritirata da Strasburgo. Ed è stato accontentato. Davanti alla Cedu, contro gli effetti della Severino, pendono ancora i ricorsi, del 2013, di Marcello Miniscalco, fuori dalla corsa elettorale in Molise e del 2016, dell’ex presidente del Veneto ed ex parlamentare di FI Giancarlo Galan, che in seguito a un patteggiamento per corruzione è decaduto da deputato.