Il Fatto Quotidiano

La Lega “salva” Bossi e denuncia solo Belsito

All’ex tesoriere, il processo prosegue anche per il Senatùr e il figlio

- » GIANNI BARBACETTO E FERRUCCIO SANSA

“Io

faccio il ministro, non mi occupo di processi e di denaro”, ha detto lunedì Matteo Salvini dopo la condanna in appello di Umberto Bossi a Genova. Ma il tempo lo dovrà trovare, ormai le rogne giudiziari­e tormentano la Lega. Il segretario e il suo predecesso­re, Roberto Maroni, pur non toccati dalle inchieste, sono chiamati in causa da più parti. Ultimo in ordine di tempo è stato Stefano Stefani, cassiere del Carroccio ai tempi di Maroni: “Feci presente più volte a Maroni e Salvini, sia in pubblico sia in privato, che si stava spendendo troppo e troppo in fretta”. Primo tassello: il processo di Milano. Ieri la Lega ha deciso di presentare querela contro Francesco Belsito. Ma non contro Umberto e Renzo Bossi, imputati (e condannati in primo grado) nello stesso processo. Tutto nasce dall’inchiesta sui rimborsi elettorali della gestione Bossi-Belsito. A Genova due giorni fa è arrivata la condanna in appello per i soldi pubblici spesi per il partito, ma ricevuti sulla base di rendiconti falsi. Bossi, tuttora senatore e presidente della Lega, era accusato di truffa.

A MILANO invece deve rispondere di appropriaz­ione indebita ( in primo grado è stato condannato), cioè di aver utilizzato soldi pubblici per fini personali (cure mediche, ristruttur­azione di casa, “laurea” e multe dei figli eccetera). Ma, grazie alle modifiche della legge, l’appropriaz­ione indebita è perseguibi­le solo su querela della parte lesa (cioè la Lega). Senza querela niente processo. La decisione di procedere solo contro Belsito dunque che effetti avrà? Politicame­nte ha un peso, perché grazia i Bossi. In aula, però, non basterà: l’articolo 123 del codice penale sul “concorso nei reati” infatti recita che “la querela si estende a tutti coloro che hanno commesso il reato”. Umberto e Renzo Bossi non sono al sicuro.

Pur non toccati dalle inchieste, Maroni e Salvini – successori di Bossi – sono sempre più spesso chiamati in causa, almeno politicame­nte, a proposito dei 49 milioni che i ma- gistrati non hanno trovato nelle casse della Lega. Ora tocca a Stefani. Il cassiere del Carroccio ai tempi di Maroni in un’intervista a The Post Internazio­nale dichiara: “Feci presente a Maroni e Salvini che si stava spendendo troppo e troppo in fretta”, ma alla fine “nessuno, all’interno del Consiglio federale, si oppose a questa politica. Tantomeno Salvini, che all’epoca aspetta- va solo di diventare segretario”. Stefani si spinge oltre: “Parte dei 40 milioni rimasti in cassa dopo le dimissioni di Bossi sarebbero stati spesi in modo ingiustifi­cato assumendo costosissi­mi profession­isti esterni ‘amici di Maroni’ e finanziand­o la campagna elettorale del futuro governator­e della Regione Lombardia”. Stefani si chiama fuori: “Io non contavo un cazzo, ero un mero esecutore”.

È solo l’ultimo in ordine di tempo. Nelle scorse settimane era stata Daniela Cantalames­sa a parlare. La storica segretaria di Bossi (poi sentita dai pm) aveva detto: “Ero convinta che Salvini fosse uno di noi. Gli dissi: ‘Fai qualcosa che qui stanno sparendo tutti i soldi’. Lui mi ascoltò, ma non si sbi lanciò ”. E ha aggiunto: “Con Bossi nelle casse della Lega c’erano circa 40 milioni. Eravamo preoccupat­i perché vedevamo che la gestione Maroni, anziché utilizzare la struttura Lega, utilizzava strutture esterne con costi alti”. Parole simili a quelle di Belsito: “Quando me ne sono andato dalla Lega ho lasciato 40 milioni. Dopo le mie dimissioni – con Maroni e Salvini – sono entrati altri 19 milioni legati alle elezioni del periodo di Bossi, perché i rimborsi erano scaglionat­i negli anni”.

Le dichiarazi­oni L’ex cassiere del Carroccio: “Dissi a Maroni e a Matteo che si spendeva troppo e troppo in fretta”

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LaPresse Francesco Belsito era tesoriere del Carroccio ai tempi di Bossi
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