Quel che M5S non ha capito della povertà
▶CERCHIAMO
di vedere il bicchiere del reddito di cittadinanza mezzo pieno: i Cinque Stelle hanno preso atto di una serie di complessità che prima negavano. La necessità di distinguere proprietari di immobili da affittuari, il rischio della trappola della povertà che condanna a vivere di sussidi, l’assurdità di distinguere tra consumi morali e immorali. Purtroppo però tutta l’attenzione resta sui centri per l’impiego, per indirizzare quanto prima i poveri disoccupati a lavorare. E questo continua a essere il grande errore di fondo. Si capisce perché leggendo come funziona il Rei, l’attuale reddito di inclusione, nel Comune di Milano. Lo spiegano Alessandro Cassuto (ufficio interventi di sostegno al reddito) e Daniela Attardo (unità di coordinamento servizio sociale professionale) al sito Lombardiasociale: 16.000 domande ai Caf, il 23 per cento viene accolta, 3.842, pochissime le revoche (6), circa 200 domande sospese per rivalutazioni dei parametri come l’Isee. La domanda viene fatta al Caf (che sul territorio sono tanti, a differenza dei centri per l’impiego), poi un assistente sociale analizza la famiglia, definisce obiettivi di “buona cittadinanza”, come garantire che i figli vadano a scuola, evitare comportamenti sanitari pericolosi, rimettere sotto controllo i debiti, e di “inclusione sociale”, con mediatori familiari, micro-credito, sostegni educativi. Solo al terzo livello c’è l’inclusione lavorativa. Certo, alcuni poveri possono passare direttamente alla fase tre. Ma di solito sono quelli che un lavoro lo stanno già cercando da soli. Bisogna pensare anche agli altri. I Cinque Stelle non hanno mai parlato di quella prima fase di assistenza, preliminare al sussidio, che è necessaria per evitare che il reddito di cittadinanza si trasformi in una mancia elettorale. È il momento di affrontare il problema.