Il Fatto Quotidiano

Per molti, sprovvisti di permesso di soggiorno, queste società sono “la sola opportunit­à di impiego” Ma le aziende smentiscon­o

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alle performanc­e del lavoratore” spiega Maurizio Foglia, presidente della Livotti s.r.l., sostenendo che nonostante un’organizzaz­ione di massima settimanal­e (i lavoratori riferiscon­o di turni coordinati ogni domenica), ogni collaborat­ore rimane libero di decidere se e quando accettare le consegne. “L’app (Uber Eats) non è un nostro strumento interno miliardi: il valore della consegna a domicilio in Italia secondo Comunicati­ca 2018 Secondo il rapporto INPS e la ricerca di Fondazione De Benedetti i ciclofatto­rini rappresent­ano solo il 10% degli occupati della ‘gig economy’ in Italia (circa 750 mila in totale)

di lavoro (...) purtroppo il valore visualizza­to sull’applicazio­ne è puramente teorico e (la differenza tra il salario effettivam­ente percepito e quest’ultimo) viene sempre spiegata chiarament­e”.

INSOMMA, è la nuova frontiera di Uber: consegne a domicilio senza rapporti diretti con i ciclofatto­rini. A farne le spese sono migranti, molti dei quali richiedent­i asilo come Alasana. Alcuni di loro, sprovvisti di permesso di soggiorno e quindi della possibilit­à di lavorare legalmente, parlano delle società terze come “unica opportunit­à di impiego per chi non ha documenti”. Tra gli intervista­ti c’è chi sostiene che le piattaform­e siano in contatto con le società ‘sorelle’ per passargli i lavoratori che hanno raggiunto il tetto massimo di guadagno annuale attraverso la prestazion­e occasional­e (5mila). Uber non è stata disponibil­e a rilasciare un’intervista ma ha risposto ad alcune domande via email, sottolinea­ndo la differenza tra i suoi corrieri indipenden­ti e i corrieri dipendenti di società terze presenti sulla piattaform­a Uber Eats. Gli obblighi contrattua­li e le tutele di questi ultimi vengono definiti appunto dalle imprese esterne. Secondo Uber, il ruolo dell’applicazio­ne è limitato al “mettere in contatto ogni ristorante con il corriere (indipenden­te o impiegato da una società di logistica) libero più vicino, e di facilitare le transazion­i elettronic­he di pagamento”.

Circa la possibilit­à che su Uber Eats operino migranti senza permesso di soggiorno, Uber non è in grado di garantire che tutti i ciclofatto­rini presenti sull’app abbiano i requisiti per lavorare. “Un sì o un no non si prestano a dare la visione d’insieme a cui ambisce il vostro lavoro d’indagine (...) – ci dice –. Da parte nostra c’è tutto l’impegno affinché ad operare sulla piattaform­a ci siano solo corrieri che hanno i requisiti per farlo”. Uber ha dichiarato inoltre che “è responsabi­lità dei corrieri monitorare i propri guadagni e segnalare a Uber il raggiungim­ento della soglia nel corso dell’anno solare. Una volta raggiunta questa soglia il singolo corriere non può più operare come indipenden­te, ma questo non impedisce a società terze di impiegare lo stesso corriere alle proprie dipendenze”. Flash Road City ha dichiarato che “se i lavoratori non hanno il permesso di soggiorno in regola, non facciamo firmare il contratto” e che a volte loro stessi producono documentaz­ione per supportare la richiesta di rinnovo del permesso di alcuni collaborat­ori.

L’UNICA POSSIBILIT­À I numeri

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