Dal confine interno alla dogana I pomi della discordia su Brexit
Il voto L’11 dicembre il Parlamento britannico darà l’ultimo parere sul divorzio dalla Ue. May ha 290 dei 320 voti per l’approvazione
L’11 dicembre il Parlamento britannico deciderà se approvare i due testi di intesa fra il governo May e l’Unione europea su Brexit: l’accordo di recesso ( Withdrawal Agreement), legalmente vincolante, che in 586 pagine affronta tutti i dossier relativi alle modalità del “divorzio”, e la dichiarazione politica sui futuri rapporti, non legalmente vincolante, che “stabilisce i parametri di una partnership ambiziosa, ampia, approfondita e flessibile” in materia di cooperazione economica, politica estera, difesa, sicurezza.
Se la House of Commonsd irà sì, il testo approvato dovrà essere ratificato dal Parlamento europeo entro il 29 marzo, data ufficiale di uscita del Regno Unito dall’Ue. In base agli attuali equilibri parlamentari, però, l’accordo ha scarsissime possibilità di passare e questo avvicina la temuta prospettiva di una uscita senza deal . Per l’approvazione Theresa May ha bisogno di almeno 320 voti. Secondo il Financial Times a oggi ne avrebbe solo fra i 220 e i 290, raccolti fra i parlamentari conservatori a lei leali per convinzione o calcolo politic o . I l fronte del no è di 350-420, distribuiti in tutti gli schieramenti. In parte, l’opposizione è su linee ideologiche o programmatiche. È il caso del partito Liberaldemocratico, filo-europeo fin dalle sue origini, i cui 12 parlamentari rigetteranno il deal perché puntano a un secondo referendum. Altri partiti, o correnti interne a essi, respingono invece snodi specifici dell’accordo.
IL CONFINE IRLANDESE: è stato da subito il collo di bottiglia per i negoziati. Grazie alla comune appartenenza all’Unione europea e in base agli accordi pace del Venerdì Santo, fra le due Irlande (Ulster britannico ed Eire repubblica indipendente) il confine è “invisibile”. Per evitarne il ritorno che metterebbe a rischio il delicato processo di pace, Londra e Bruxelles hanno faticosamente trovato un compromesso che si intende temporaneo: restare nell’Unione doganale e tenere Belfast in parte anche nel mercato unico. Inaccettabile per il Dup, il partito unionista nord-irlandese per cui ogni dettaglio che lo differenzi dalla madrepatria è una minaccia alla sua sopravvivenza. Purtroppo per la May, i 10 deputati del Dup garantiscono, con l’appoggio esterno, la maggioranza al suo governo. Hanno dichiarato che voteranno contro il deal e, Emmanuel
Macron prende tempo sul nucleare e rinvia di dieci anni, dal 2025 al 2035, l’ambizioso obiettivo che si era fissato il suo predecessore, François Hollande, di ridurre, dall ’ attuale 75%, al 50% la quota dell’atomo nella produzione di energia elettrica in Francia.
SI TRATTERÀ di chiudere 14 reattori di 900 megawatt (su un parco di 58, il secondo al mondo dopo gli Stati Uniti), in modo progressivo, a partire dal 2025-2026. Solo i reattori della centrale più vetusta e contestata di Fessenheim, in Alsazia, entrata in funzione nel 1978, la cui chiusura è stata più volte annunciata e rinviata dai precedenti governi, saranno fermati prima, a partire dall’estate del 2020. Macron conferma invece la chiusura di se dovesse passare, rivedranno i termini dell’alleanza.
L’UNIONE DOGANALE. I nizialmente May aveva promesso che il Regno Unito sarebbe uscito sia dalla unione doganale che dal mercato comune e si sarebbe sottratta alla giurisdizione della Corte europea di Giustizia. Un taglio netto che non è riuscita a ottenere a causa del nodo sul confine irlandese. Il compromesso vede il Regno dentro l’unione doganale per tutto il periodo di transizione e forse oltre, se nel frattempo i successivi negoziati sui rapporti commerciali non troveranno una soluzione alternativa. È un compromesso che non piace a nessuno, per motivi opposti. Il Labour di Jeremy Corbyn, che può contare sul no di circa 240-250 parlamentari, chiede “una unione doganale permanente – non temporanea – il mantenimento del mercato unico, anche se rinegoziato, garanzie sui diritti dei lavoratori e dei consumatori e misure di protezione per l’a mbiente “che verrebbero meno senza l’ombrello protettivo dell’Ue. Il segretario laburista ha definito l’accordo di recesso “un fallimento dei negoziati” e la bozza sui rapporti futuri “26 pagine di fuffa”. Da questa linea dissentono 5-15 parlamentari laburisti, che potrebbero votare sì su pressione dei loro elettori e per evitare il rischio di no deal. I falchi del partito conservatore (fra 20 e 80) rigettano l’intesa per i motivi opposti. Secondo il loro leader Jacob-Rees Moog getta il pae- se in uno stato di vassallaggio, perché Londra non potrà uscire unilateralmente dall’unione doganale, resterà in parte soggetta alla giurisdizione della Corte di Giustizia europea, dovrà continuare a contribuire al budget, uniformarsi alle decisioni di Bruxelles senza partecipare al processo decisionale e non sarà autonoma nelle strategie di commercio internazionale. Voteranno no anche alcuni Conservatori moderati e i 35 deputati dello Scottish National Party, che pur di non accettare un accordo che considerano peggiorativo rispetto alla permanenza nell’Unione europea lavorano a proposte alternative o al secondo referendum.
Ora la May ha due strade, entrambe in salita: convincere i suoi o convincere Corbyn. Ieri è arrivata la conferma che i due si affronteranno in un dibattito tv, probabilmente il 9 dicembre. Difficile che dopo lo scontro davanti al paese, trovino un compromesso in Parlamento.
La trappola Dup I dieci unionisti irlandesi contrari all’accordo per Belfast possono fare saltare il banco La scheda
EUROPA
Il 25 novembre il premier May firma l’accordo con Bruxelles sul piano di divorzio dell’Ue a costo di modifiche su Gibilterra e gli accordi commerciali
RATIFICA
Il “deal” verrà sottoposto al voto definitivo della Camera dei Comuni l’11 dicembre Il dibattito sui punti in discussione durerà una settimana e inizierà il 4 dicembre