Mastandrea e la (sua) cognizione del dolore
“Ride”, il lungometraggio-esordio dell’attore dietro la macchina da presa
“L a difficoltà di entrare in contatto con le proprie emozioni, che viviamo ormai da qualche anno”, e la divaricazione tra libertà individuale e sanzione sociale: temi pesanti e pensanti, appesi a un titolo che direbbe altro, Ride .A quarantasei anni e venticinque di recitazione, è l’esordio alla regia di Valerio Mastandrea, unico titolo italiano in concorso al 36° Torino Film Festival e da domani in sala (110 schermi).
“Si gioca come si vive”, osserva citando l’ex difensore della Roma Nicolas Burdisso, ma il campo può essere di battaglia: “Si muore in guerra non al lavoro”, recita una battuta, eppure si muore anche in fabbrica, tema a cui il neoregista aveva già dedicato il cortometraggio Tre virgola ottantasette nel 2005.
Qui la protagonista Carolina (Chiara Martegiani, ruolo ostico, assolto meglio nella prima parte) non riesce a piangere il marito, perito in uno stabilimento che di quella cittadina laziale (Nettuno) ha accolto generazioni. A distanza di una settimana, e a ridosso del funerale, le lacrime ancora non arrivano: è un lutto eterodosso, eretico, insoddisfacente, persino indecente, cui il coro delle visite – un’ex fidanzata, una coppia scoppiata, una vicina truccatrice (Milena Vukotic) – dà voltaggio tragicomico.
LA SCENEGGIATURA, scritta da Valerio a quattro mani con Enrico Audenino, le affianca il figlio Bruno (Arturo Marchetti), che sulla terrazza condominiale si prepara con un amichetto alle interviste che certamente dovrà concedere l’indomani, e il padre ex operaio Cesare (Renato Car- pentieri, fuoriclasse), prima nella casetta sulla spiaggia con due vecchi compagni di lotta e poi nell’ incontro- scontro con il figliol prodigo Nicola( Stefano Dionisi, gradito ritorno).
Se Ride nell’ accostamento pudico ma partecipe ai personaggi ne ricorda la lezione, “la cosa che più mi manca – rivela Mastandrea – è non poter avere un confronto con Claudio” Caligari, di cui tre anni fa produsse l’ultimo film Non essere cattivo: “Ho ritrovato i suoi luoghi, ne sento perfino la spinta, ma vorrei ancora che lui mi demolisse”. È un’eredità poetico-antropologica travasata nel malavitoso Nicola, e sopra tutto in Cesare e gli altri vecchietti impegnati a cucinare le vongole o far volare l’aquilone, senza dimenticare tra ictus e disillusione chi siano e da dove vengano: “Renato ( Carpentieri, nd r) incarna l’operaio che ha fatto le lotte più importanti nel nostro Paese, e ancora compie il gesto più rivoluzionario, quello di non lasciare il morto alle autorità. I vecchi sono pilastri di certi valori che oggi nella velocità perdiamo”.
Per dirla con Gadda e Carpentieri, riecheggia “la cognizione del dolore”, che Ma- standrea non inibisce ma acuisce pizzicando il registro comico e surreale, e la deflagrazione degli opposti individuale/ sociale e autonomia/ omologazione non fa prigionieri: Ride è un’opera prima imperfetta ma generosa, ostinata e contraria, scossa però determinata, che ha qualcosa da dire – e da far vedere – e tradisce prospettive ambiziose, laddove il regista dovesse acquisire più fiducia nelle proprie capacità e in quelle degli spettatori.
TOCCA accantonare l’enfasi (anche ideologica), ridurre le ingenuità (e la musica!) ed eliminare pleonasmi e spiegoni, ma lo sguardo c’è, e merita di radicalizzarsi: aver scelto da attore che passa alla regia la questione della libertà, libertà di e libertà da, lascia ben sperare.
In morte di un operaio Una vedova che non riesce a piangere, le visite degli amici e la nostalgia di Claudio Caligari