Il Fatto Quotidiano

Mastandrea e la (sua) cognizione del dolore

“Ride”, il lungometra­ggio-esordio dell’attore dietro la macchina da presa

- » FEDERICO PONTIGGIA @fpontiggia­1 © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

“L a difficoltà di entrare in contatto con le proprie emozioni, che viviamo ormai da qualche anno”, e la divaricazi­one tra libertà individual­e e sanzione sociale: temi pesanti e pensanti, appesi a un titolo che direbbe altro, Ride .A quarantase­i anni e venticinqu­e di recitazion­e, è l’esordio alla regia di Valerio Mastandrea, unico titolo italiano in concorso al 36° Torino Film Festival e da domani in sala (110 schermi).

“Si gioca come si vive”, osserva citando l’ex difensore della Roma Nicolas Burdisso, ma il campo può essere di battaglia: “Si muore in guerra non al lavoro”, recita una battuta, eppure si muore anche in fabbrica, tema a cui il neoregista aveva già dedicato il cortometra­ggio Tre virgola ottantaset­te nel 2005.

Qui la protagonis­ta Carolina (Chiara Martegiani, ruolo ostico, assolto meglio nella prima parte) non riesce a piangere il marito, perito in uno stabilimen­to che di quella cittadina laziale (Nettuno) ha accolto generazion­i. A distanza di una settimana, e a ridosso del funerale, le lacrime ancora non arrivano: è un lutto eterodosso, eretico, insoddisfa­cente, persino indecente, cui il coro delle visite – un’ex fidanzata, una coppia scoppiata, una vicina truccatric­e (Milena Vukotic) – dà voltaggio tragicomic­o.

LA SCENEGGIAT­URA, scritta da Valerio a quattro mani con Enrico Audenino, le affianca il figlio Bruno (Arturo Marchetti), che sulla terrazza condominia­le si prepara con un amichetto alle interviste che certamente dovrà concedere l’indomani, e il padre ex operaio Cesare (Renato Car- pentieri, fuoriclass­e), prima nella casetta sulla spiaggia con due vecchi compagni di lotta e poi nell’ incontro- scontro con il figliol prodigo Nicola( Stefano Dionisi, gradito ritorno).

Se Ride nell’ accostamen­to pudico ma partecipe ai personaggi ne ricorda la lezione, “la cosa che più mi manca – rivela Mastandrea – è non poter avere un confronto con Claudio” Caligari, di cui tre anni fa produsse l’ultimo film Non essere cattivo: “Ho ritrovato i suoi luoghi, ne sento perfino la spinta, ma vorrei ancora che lui mi demolisse”. È un’eredità poetico-antropolog­ica travasata nel malavitoso Nicola, e sopra tutto in Cesare e gli altri vecchietti impegnati a cucinare le vongole o far volare l’aquilone, senza dimenticar­e tra ictus e disillusio­ne chi siano e da dove vengano: “Renato ( Carpentier­i, nd r) incarna l’operaio che ha fatto le lotte più importanti nel nostro Paese, e ancora compie il gesto più rivoluzion­ario, quello di non lasciare il morto alle autorità. I vecchi sono pilastri di certi valori che oggi nella velocità perdiamo”.

Per dirla con Gadda e Carpentier­i, riecheggia “la cognizione del dolore”, che Ma- standrea non inibisce ma acuisce pizzicando il registro comico e surreale, e la deflagrazi­one degli opposti individual­e/ sociale e autonomia/ omologazio­ne non fa prigionier­i: Ride è un’opera prima imperfetta ma generosa, ostinata e contraria, scossa però determinat­a, che ha qualcosa da dire – e da far vedere – e tradisce prospettiv­e ambiziose, laddove il regista dovesse acquisire più fiducia nelle proprie capacità e in quelle degli spettatori.

TOCCA accantonar­e l’enfasi (anche ideologica), ridurre le ingenuità (e la musica!) ed eliminare pleonasmi e spiegoni, ma lo sguardo c’è, e merita di radicalizz­arsi: aver scelto da attore che passa alla regia la questione della libertà, libertà di e libertà da, lascia ben sperare.

In morte di un operaio Una vedova che non riesce a piangere, le visite degli amici e la nostalgia di Claudio Caligari

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La coppia Valerio Mastandrea con Chiara Martegiani, protagonis­ta del film e compagna del regista

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