Il Fatto Quotidiano

“È un obiettivo sbagliato e suicida per la società”

- » TOMASO MONTANARI

L’impegno che il ministro Tria ha messo nero su bianco, scrivendo alla Commission­e europea (“innalzare all’1% del Pil per il 2019 l’obiettivo di privatizza­zione del patrimonio pubblico”, cioè per 18 miliardi di euro) è insieme irrealisti­co e dannoso. Appare evidente che la previsione sia campata per aria: basta ricordare che per incassare 25 miliardi di euro ci sono voluti 9 anni (dal 1999, anno di istituzion­e dell’Agenzia del Demanio, al 2008). Ma è l’obiettivo in sé a essere sbagliato, anzi suicida. Il patrimonio immobiliar­e pubblico è la risorsa strategica per mettere in atto qualunque politica sociale: e cioè per attuare la prima parte della Costituzio­ne ponendo rimedio a diseguagli­anze e ingiustizi­e. La privatizza­zione della vita pubblica e della democrazia nasce dalla privatizza­zione dello spazio pubblico delle città.

LA DICOTOMIA tra spazio privato e spazio del mercato fa sparire la stessa condizione di cittadino: perché non ci sono alternativ­e, o sei nella tua proprietà o sei un cliente-consumator­e. Il bisogno di spazi liberati, che sta alla radice delle occupazion­i di immobili abbandonat­i, cerca risposte pubbliche. Per non parlare del diritto negato alla casa. Vendere lo spazio pubblico, significa rinunciare ad avere un progetto di inclusione, riscatto sociale, ricostruzi­one della cittadinan­za. Non solo: significa anche legare le mani alle prossime generazion­i, che non potranno scegliere. Ed è un modo davvero curioso di difendere la sovranità nazionale quello di assicurare all’Europa che lo sforamento del deficit sarà garantito dalla vendita del patrimonio nazionale, inevitabil­mente destinato a finire in grandissim­a parte in mano alla speculazio­ne internazio­nale. L’esempio della Grecia dovrebbe insegnare qualcosa: il porto del Pireo ceduto in blocco alla Cina è il modello cui guarda il governo Salvini-Di Maio?

Anche i precedenti dovrebbero insegnare. L’apice velleitari­o della privatizza­zione del patrimonio si toccò, grazie a Giulio Tremonti, con la costituzio­ne, nel 2002, della Patrimonio dello Stato Spa, una società per azioni che, almeno teoricamen­te, avrebbe potuto gestire e alienare qualunque bene della proprietà pubblica. In un colpo solo, lo Stato intero, il complesso della proprietà pubblica, si sarebbe potuto dematerial­izzare nella forma di azioni.

Un progetto reincarnat­osi molte volte: da ultimo, nell’analoga idea di Marco Carrai, intimo di Matteo Renzi, il quale voleva creare un “Fondo Patrimonio Italia, dove conferire gli asset morti dello Stato per estrarne valore: l’immenso patrimonio immobiliar­e pubblico”. In attesa della ‘soluzione finale’ c’è stato uno stillicidi­o di alienazion­i che hanno di fatto abolito il concetto stesso di demanio, vendendo isole della Laguna di Venezia, castelli e parchi. Il culmine è stato raggiunto dalla legge “più grave e disastrosa di tutte” (Paolo Maddalena), la 85 del 2010 sul cosiddetto federalism­o demaniale, che prevede il conferimen­to agli enti locali, e la possibile, successiva alienazion­e di beni demaniali, ivi compresi quelli storici e artistici. Infine, il devastante Sblocca Italia di Maurizio Lupi e Matteo Renzi (2014), che mette una taglia sul patrimonio immobiliar­e pubblico, promettend­o una quota degli utili ai Comuni che ne favoriscan­o la dismission­e.

L’idea di vendersi il patrimonio è il cavallo di battaglia dei boiardi formati da Sabino Cassese: come su quasi tutto, il governo del cambiament­o non cambia nulla. O meglio, cambia una cosa: prende il programma presentato prima del 4 marzo dal Movimento 5 Stelle – da sempre acerrimo nemico delle privatizza­zioni – e ne fa carta straccia. Certifican­do così che le annunciate (e giuste) nazionaliz­zazioni che dovrebbero, al contrario, ricostruir­e un qualche ruolo dello Stato garantendo l’interesse pubblico, resteranno un miraggio.

Appare evidente che la previsione sia campata per aria: basta ricordare che per incassare 25 miliardi ci sono voluti nove anni: dal 1999, anno di istituzion­e dell’Agenzia del Demanio, al 2008

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LaPresse Tomaso Montanari Storico dell’arte e firma del Fatto, si interroga sui risvolti sociali

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