“Nessuno crede di poter incassare ben 18 miliardi”
Gli unici a credere che in Italia si stia per aprire una nuova stagione di privatizzazioni sono i nemici delle privatizzazioni. La promessa del governo Conte di incassare 1 punto di Pil in un anno – circa 18 miliardi – da vendita di asset pubblici, è stata un segnale di impegno alla riduzione del debito nella trattativa con Bruxelles. Nessuno, nel governo come nella Commissione europea, pensa che sia minimamente credibile, se non con qualche trucco contabile. L’Italia si era impegnata a ottenere introiti da privatizzazioni pari allo 0,3% del Pil all’anno per ridurre l’indebitamento. Nel 2017 ha incassato zero. Il governo Gentiloni aveva previsto uno 0,3% nel 2018 che non c’è stato. L’ultimo anno in cui si è incassato qualcosa – dire “privatizzato” è troppo – è stato il 2016: 0,1% del Pil, 833,6 milioni dalla vendita di una quota di Enav, la società che gestisce il traffico aereo civile in Italia. E la lista delle grandi operazioni recente sembra il trionfo della furbizia contabile o della disperazione, più che di una ritirata dello Stato: nel 2012 il ministero del Tesoro vende alla Cassa Depositi e Prestiti (controllata dal Tesoro) Sace, Simest e Fintecna per 8,8 miliardi. Nel 2015 piazza sul mercato 2,1 miliardi di euro di azioni Enel – non una privatizzazione, perché l’Enel è già una società di diritto privato a controllo pubblico e tale resta, è soltanto la rinuncia a dividendi futuri – e una quota di Poste Italiane per 3,1 miliardi, altra cessione che non privatizza, ma scambia un incasso immediato con la rinuncia a benefici futuri.
LE ULTIME
privatizzazioni vere in Italia sono state quelle degli anni Novanta, con gli errori che sappiamo: passare ai privati il controllo di monopoli naturali (che quindi naturalmente dovrebbero rimanere pubblici) senza regole adeguate per costruire una concorrenza che dia qualche beneficio anche ai consumatori oltre che ai nuovi padroni. Questo governo ha già minacciato nazionalizzazioni (di perdite, più che di aziende) altro che privatizzare: vorrebbe tenersi Monte Paschi, caricarsi Alitalia in assenza di compratori, forse prendersi la vecchia rete in rame di Tim con debiti e dipendenti annessi.
È realistico pensare che si prepari allora una svendita del patrimonio immobiliare pubblico? Per quelle cifre – 18 miliardi – proprio no. Nel 2018 i proventi attesi dalle vendite di immobili pubblici sono 600 milioni. Quelli programmati per 2019 e 2020 di 640 milioni. Noccioline. La società (del Tesoro) che dovrebbe vendere o valorizzare immobili di Stato, Invimit, arranca da anni: ha in gestione oltre un miliardo di euro di immobili in fondi le cui quote vengono vendute, così da avere un incasso immediato. Ma di lì a dire che il bene è stato ceduto ce ne corre. Secondo i dati del 2015, lo Stato ha circa 283 miliardi di euro di patrimonio immobiliare, l’80% in mano agli enti locali. Ben 12 miliardi “non utilizzati”, altri 6 miliardi sono in uso gratuito a privati (e chissà se tutti meritevoli di questa carità pubblica). In compenso lo Stato continua a spendere milioni di euro ogni anno per affittare uffici e appartamenti, spesso in palazzi che prima erano di sua proprietà ma che poi ha ceduto per ottenere un po’ di quei famosi incassi da “privatizzazioni”, un mero trucco contabile che finisce per risultare parecchio costoso nel lungo periodo.
Anche se in un sussulto liberista il governo giallo-verde decidesse di vendere Colosseo, Fontana di Trevi, palazzi e caserme, scoprirebbe che è quasi impossibile. Una gestione responsabile degli immobili pubblici passa per un ripensamento del ruolo di Invimit, una riduzione della spesa in affitti e la vendita di quello che si può vendere, magari dopo averne estratto il valore massimo (cambi di destinazione d’uso, ecc.) ma c’entra poco con la caccia ai 18 miliardi di euro da privatizzazioni. Che, a meno di un svendita di quote di Eni, Enel e Leonardo, sono destinati a rimanere l’ennesima promessa impossibile da rispettare.
È irrealistico pensare che si prepari una svendita del patrimonio immobiliare pubblico Nel 2018 i proventi attesi sono 600 milioni; quelli per il 2019 e 2020 sono 640 milioni Noccioline