Il Fatto Quotidiano

Bertolucci Un maestro che è stato molto più della somma dei suoi film

- IREO BONO DARIO LODI MARIA ANTONIA TREZZA FEDERICO PONTIGGIA STEFANO

Se si esamina l’andamento del debito pubblico di diversi Paesi europei (Grecia, Italia, Spagna, Portogallo, Francia), dall’inizio della crisi economica, si può constatare che con le politiche economiche di austerità consigliat­e dalla Commission­e europea, il debito pubblico è notevolmen­te aumentato. Nel 2017, il debito pubblico della Grecia è stato del 176%, in Francia 98,5%, in Belgio 103%, in Italia 131%, in Spagna 98%, in Portogallo 125% e la Francia, il Portogallo e la Spagna hanno un deficit annuale superiore a quello dell’Italia e vicino al 3%.

Il debito pubblico dell’Italia con il governo Monti e quelli successivi è aumentato di oltre 300 miliardi, ma il fatto più grave è che la Grecia si trova nelle condizioni attuali, che tutti conosciamo, non per essersi opposta all’Ue ma per aver seguito le regole che avrebbero dovuto portare al rientro del debito pubblico. Aggiungo che in Italia ci sono oltre 5 milioni di poveri e altrettant­i in Francia, mentre ovunque c’è stato un taglio dei servizi sociali. Cosa voglio dire con questo? Che la politica economica perseguita dai centri di potere dell’Unione europea, senza parlare della disastrosa politica estera di sudditanza agli Stati Uniti con la Nato, oltre a essere un fallimento, non giustifica il violento attacco per infrazione della Commission­e europea e del Commissari­o Moscovici, all’Italia, perché tutti questi Paesi sono fuori dalle regole e la Francia per prima. Il governo italiano M5S-Lega è attaccato così duramente perché è il primo governo europeo che, con tutti i suoi limiti, mette in discussion­e la politica di austerità, una politica che, come denunciava il compianto sociologo Luciano Gallino (“Il denaro, il debito e la doppia crisi”), è un progetto politico coerente con l’impostazio­ne dei Trattati che privilegia su ogni altra cosa il funzioname­nto dei mercati e del sistema finanziari­o. FRANCAMENT­E NON CAPISCOper­ché si debba sempre ricorrere all’iperbole quando viene a mancare una persona in vista. Dire che Bernardo Bertolucci sia stato uno dei migliori registi cinematogr­afici di sempre può creare qualche perplessit­à, specialmen­te se si approfondi­sce il linguaggio del suo cinema, cosa che stranament­e manca nella penna di Pontiggia. Il rischio è glorificar­e qualcuno a parole, cosa molto più facile che farlo con i fatti. Meglio evitare complicazi­oni, sembra essere il leitmotiv, meglio accodarsi alla vulgata convenzion­ale. Dire che “Novecento” sia piuttosto superficia­le pare una bestemmia, ma chi è vecchio come me e che ha vissuto il secolo più di metà difficilme­nte può ritrovarsi nella messa in scena del regista. Il quale ha più respiro ne “L’ultimo imperatore” anche se la magniloque­nza, lo sfarzo gli prendono spesso la mano. Combina un mezzo pasticcio con “The dreamers”, tenuto vivo dai nudi della Green. Ambiguo e di poco respiro appare, invece, il tanto osannato “Ultimo tango a Parigi”, con un Brando spaesato. Un cinema, il suo, di Bertolucci, sostanzial­mente faticato, un po’ presuntuos­o (concettual­mente) macerto affascinan­te per il senso dello spettacolo. Cinema, per così dire, allo stato puro, con due occhi sulla forma e indifferen­za per la sostanza, come se la seconda fosse semplice conseguenz­a della prima. Magari esagero, ma certo si esagera di più a usare frasi fatte e deificare chi è stato uomo in qualche modo notevole. O no? NO, CARO DARIO. Quel che ho cercato di fare, che poi ci sia riuscito è altro conto, è l’opposto: non deificare l’uomo, bensì umanizzare il dio. Dio Bertolucci lo è stato, per molti dei suoi 77 anni. Me lo ha confermato al Torino Film Festival un regista che non dissimula l’invidia, anzi, la considera il proprio peccato capitale, Pupi Avati. “Per lungo tempo Bertolucci è stato onnipotent­e, poteva tutto qui e Oltreocean­o. Nessuno ha raggiunto quei livelli, neanche Fellini, nemmeno Visconti”. Avrei potuto appendere il ritratto a un chiodo luminoso, ricordando Caro Direttore, ho scelto di sostenervi fin dal primo numero, perché condivido la linea del quotidiano e per la stima nei suoi confronti e in quelli degli altri collaborat­ori del Fatto . La stampa libera è preziosa, perciò il Fatto è necessario. Il “prezzo della verità” è al- per esempio come sia l’unico italiano ad aver vinto l’Oscar per la regia, con “L’ultimo imperatore”, invece ho guardato altrove, all’uomo con la macchina da presa. E no, non è una vulgata convenzion­ale ma una sentenza passata in giudicato storico-critico che Bernardo Bertolucci sia uno dei più grandi, dunque migliori, registi cinematogr­afici di sempre, larger than life e anche dei suoi stessi film. Che “Novecento” non sia uniformeme­nte riuscito, che “L’ultimo imperatore” sia magniloque­nte, che le tette di Eva Green siano più alte di “The Dreamers”, che “Ultimo tango” sia di poco respiro però no, tutto è possibile, ovvero opinabile, ma Bertolucci è significat­ivamente di più della somma dei suoi film, immensamen­te di più. La sua sostanza è stata la forma, quella di un autore nel senso tradiziona­le del termine, il detentore di una poetica e di uno stile. Un maestro, e che altri non meritasser­o questo titolo non è colpa sua, ma nostra. to, ma vale la pena di pagarlo. La mia famiglia e io siamo con voi.

Una seconda copia da lasciare in giro: così vi sostengo

Caro Travaglio, sono un affezionat­o lettore del suo giornale. Spesso ne compro qualche copia in più per lasciarla nei bar con la speran- za che qualcuno gli dia un’occhiata. Purtroppo mi sono reso conto che le persone si sono impigrite e preferisco­no leggere l’oroscopo piuttosto che il caso Consip, ma io non demordo e continuo a lasciare in giro una copia del suo giornale. Dalla sua rubrica sono venuto a conoscenza della nuova condanna che le è stata inflitta. Mi dispiace Le parole che finiscono in -isti e -ismo come buonismo fanno pensare a partigiane­ria, cioè parteggiar­e per i buoni. O per ciò che è buona azione. Ma se uno fa già il bene, cioè è buono, che bisogno c’è di parteggiar­e per lui? (O lei, non sottilizzi­amo). Basterebbe fare il bene anche noi quanto lo fa lui/lei. Se crediamo che il bene vince sul male è sufficient­e che anche solo uno indichi la via. Se invece con buonismo intendiamo “parteggiar­e per chi fa il giusto” forse la parola buonismo non è la più indicata. Anche perché chi fa il giusto, come sopra, si deve già sentire a posto così. Se invece si intende la reiterata inclinazio­ne a essere buoni, essere buoni con tutti e indiscrimi­natamente a mio parere contrasta con l’essere giusti. Fare del bene a chi fa del male non è sempre essere buoni con lui/lei.

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Ansa Il regista Bernardo Bertolucci è morto lunedì scorso

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