Bertolucci Un maestro che è stato molto più della somma dei suoi film
Se si esamina l’andamento del debito pubblico di diversi Paesi europei (Grecia, Italia, Spagna, Portogallo, Francia), dall’inizio della crisi economica, si può constatare che con le politiche economiche di austerità consigliate dalla Commissione europea, il debito pubblico è notevolmente aumentato. Nel 2017, il debito pubblico della Grecia è stato del 176%, in Francia 98,5%, in Belgio 103%, in Italia 131%, in Spagna 98%, in Portogallo 125% e la Francia, il Portogallo e la Spagna hanno un deficit annuale superiore a quello dell’Italia e vicino al 3%.
Il debito pubblico dell’Italia con il governo Monti e quelli successivi è aumentato di oltre 300 miliardi, ma il fatto più grave è che la Grecia si trova nelle condizioni attuali, che tutti conosciamo, non per essersi opposta all’Ue ma per aver seguito le regole che avrebbero dovuto portare al rientro del debito pubblico. Aggiungo che in Italia ci sono oltre 5 milioni di poveri e altrettanti in Francia, mentre ovunque c’è stato un taglio dei servizi sociali. Cosa voglio dire con questo? Che la politica economica perseguita dai centri di potere dell’Unione europea, senza parlare della disastrosa politica estera di sudditanza agli Stati Uniti con la Nato, oltre a essere un fallimento, non giustifica il violento attacco per infrazione della Commissione europea e del Commissario Moscovici, all’Italia, perché tutti questi Paesi sono fuori dalle regole e la Francia per prima. Il governo italiano M5S-Lega è attaccato così duramente perché è il primo governo europeo che, con tutti i suoi limiti, mette in discussione la politica di austerità, una politica che, come denunciava il compianto sociologo Luciano Gallino (“Il denaro, il debito e la doppia crisi”), è un progetto politico coerente con l’impostazione dei Trattati che privilegia su ogni altra cosa il funzionamento dei mercati e del sistema finanziario. FRANCAMENTE NON CAPISCOperché si debba sempre ricorrere all’iperbole quando viene a mancare una persona in vista. Dire che Bernardo Bertolucci sia stato uno dei migliori registi cinematografici di sempre può creare qualche perplessità, specialmente se si approfondisce il linguaggio del suo cinema, cosa che stranamente manca nella penna di Pontiggia. Il rischio è glorificare qualcuno a parole, cosa molto più facile che farlo con i fatti. Meglio evitare complicazioni, sembra essere il leitmotiv, meglio accodarsi alla vulgata convenzionale. Dire che “Novecento” sia piuttosto superficiale pare una bestemmia, ma chi è vecchio come me e che ha vissuto il secolo più di metà difficilmente può ritrovarsi nella messa in scena del regista. Il quale ha più respiro ne “L’ultimo imperatore” anche se la magniloquenza, lo sfarzo gli prendono spesso la mano. Combina un mezzo pasticcio con “The dreamers”, tenuto vivo dai nudi della Green. Ambiguo e di poco respiro appare, invece, il tanto osannato “Ultimo tango a Parigi”, con un Brando spaesato. Un cinema, il suo, di Bertolucci, sostanzialmente faticato, un po’ presuntuoso (concettualmente) macerto affascinante per il senso dello spettacolo. Cinema, per così dire, allo stato puro, con due occhi sulla forma e indifferenza per la sostanza, come se la seconda fosse semplice conseguenza della prima. Magari esagero, ma certo si esagera di più a usare frasi fatte e deificare chi è stato uomo in qualche modo notevole. O no? NO, CARO DARIO. Quel che ho cercato di fare, che poi ci sia riuscito è altro conto, è l’opposto: non deificare l’uomo, bensì umanizzare il dio. Dio Bertolucci lo è stato, per molti dei suoi 77 anni. Me lo ha confermato al Torino Film Festival un regista che non dissimula l’invidia, anzi, la considera il proprio peccato capitale, Pupi Avati. “Per lungo tempo Bertolucci è stato onnipotente, poteva tutto qui e Oltreoceano. Nessuno ha raggiunto quei livelli, neanche Fellini, nemmeno Visconti”. Avrei potuto appendere il ritratto a un chiodo luminoso, ricordando Caro Direttore, ho scelto di sostenervi fin dal primo numero, perché condivido la linea del quotidiano e per la stima nei suoi confronti e in quelli degli altri collaboratori del Fatto . La stampa libera è preziosa, perciò il Fatto è necessario. Il “prezzo della verità” è al- per esempio come sia l’unico italiano ad aver vinto l’Oscar per la regia, con “L’ultimo imperatore”, invece ho guardato altrove, all’uomo con la macchina da presa. E no, non è una vulgata convenzionale ma una sentenza passata in giudicato storico-critico che Bernardo Bertolucci sia uno dei più grandi, dunque migliori, registi cinematografici di sempre, larger than life e anche dei suoi stessi film. Che “Novecento” non sia uniformemente riuscito, che “L’ultimo imperatore” sia magniloquente, che le tette di Eva Green siano più alte di “The Dreamers”, che “Ultimo tango” sia di poco respiro però no, tutto è possibile, ovvero opinabile, ma Bertolucci è significativamente di più della somma dei suoi film, immensamente di più. La sua sostanza è stata la forma, quella di un autore nel senso tradizionale del termine, il detentore di una poetica e di uno stile. Un maestro, e che altri non meritassero questo titolo non è colpa sua, ma nostra. to, ma vale la pena di pagarlo. La mia famiglia e io siamo con voi.
Una seconda copia da lasciare in giro: così vi sostengo
Caro Travaglio, sono un affezionato lettore del suo giornale. Spesso ne compro qualche copia in più per lasciarla nei bar con la speran- za che qualcuno gli dia un’occhiata. Purtroppo mi sono reso conto che le persone si sono impigrite e preferiscono leggere l’oroscopo piuttosto che il caso Consip, ma io non demordo e continuo a lasciare in giro una copia del suo giornale. Dalla sua rubrica sono venuto a conoscenza della nuova condanna che le è stata inflitta. Mi dispiace Le parole che finiscono in -isti e -ismo come buonismo fanno pensare a partigianeria, cioè parteggiare per i buoni. O per ciò che è buona azione. Ma se uno fa già il bene, cioè è buono, che bisogno c’è di parteggiare per lui? (O lei, non sottilizziamo). Basterebbe fare il bene anche noi quanto lo fa lui/lei. Se crediamo che il bene vince sul male è sufficiente che anche solo uno indichi la via. Se invece con buonismo intendiamo “parteggiare per chi fa il giusto” forse la parola buonismo non è la più indicata. Anche perché chi fa il giusto, come sopra, si deve già sentire a posto così. Se invece si intende la reiterata inclinazione a essere buoni, essere buoni con tutti e indiscriminatamente a mio parere contrasta con l’essere giusti. Fare del bene a chi fa del male non è sempre essere buoni con lui/lei.