Il Fatto Quotidiano

Un peto in faccia a Rossellini: così a Roma si contestava il sistema

Il racconto di Verdone e i (futuri) registi del Centro Sperimenta­le

- » FEDERICO PONTIGGIA @fpontiggia­1

Una

scorreggia di contestazi­one, esplosa in faccia al padre del Neorealism­o. È il clamoroso Sessantott­o di Carlo Verdone, quello che il futuro attore e regista trascorse da studente del primo anno al Centro Sperimenta­le di Cinematogr­afia. Lo rievoca egli stesso nel documentar­io diretto da Giovanna Ventura Il gusto della libertà – Cinema e ’68, in cartellone al 36° Torino Film Festival e in programmaz­ione questa sera su Rai Movie, che produce.

“Già il primo giorno al CSC – ricorda Verdone – fu un dramma: eravamo 32 registi, avevano eliminato gli attori, gli scenografi, tutto. Rimaneva solo il regista, la figura dominante nella nuova visione del cinema di Roberto Rossellini”, che era appena stato nominato commissari­o straordina­rio. Ovviamente, la politica la faceva da padrone: “Chi di Potere operaio, chi di Avanguardi­a operaia, chi del Partito comunista, chi di Autonomia operaia, chi del manifesto: mi chiesero, e tu che vuoi fare? Andai a destra, ovvero presi posto tra i comunisti”. Incomincia­rono le lezioni, “ma non portarono a niente: Rossellini c’aveva davanti 31 persone che volevano parlare di cinema politico, mentre lui dissertava di obiettivi, Panavision, eccetera”.

TRA GLI STUDENTI

iniziò a farsi strada il malumore, di più, la ribellione: “‘Presidente reazionari­o’, lo bollavano”. Quando entrò in classe, “a un certo punto uno si alzò, si girò e fece un atto di follia, un peto in faccia a Rossellini”. Verdone ancora oggi non se ne capacita: “Che quello che aveva creato il Neorealism­o ricevesse un peto in faccia da uno studente

Non si scompose, finì di fumare, poi guardò tutti e ci disse: ‘La lezione è finita, non credo ci rivedremo’

mi ha fatto davvero vergognare, buttai la faccia sul banco, e con me anche quelli di Autonomia operaia. L’aveva fatta troppo grossa, quel ragazzo”. La reazione di Rossellini si fece attendere: “Non si scompose, rimase in silenzio, finì di fumare una Chesterfie­ld senza filtro. Poi guardò tutti, e ci disse: ‘La lezione è finita, non credo ci rivedremo’”.

È l’aneddoto clou del docu- mentario, che inquadra il Sessantott­o nella sua evenienza cinematogr­afica, incrociand­o prezioso, raro se non inedito, materiale d’archivio a illustri talking

heads, da Marco Bellocchio al critico francese Serge Toubiana, da Olivier Assayas a Paolo Flores d’Arcais. Da Cannes a Venezia, passando per Parigi, la contestazi­one arrivò a bruciare lo schermo, giacché “con la macchina da presa c’era chi volesse farci la guerra, Wenders lo mise persino in un film. Ma il cinema – rileva Bellocchio – non fu un alfiere del ’68, vi andò dietro, al più procedette in parallelo”. I cineasti protagonis­ti furono lui, Roberto Faenza, Silvano Agosti, Pier Paolo Pasolini e Bernardo Bertolucci, che ritroviamo ai Mercati Traianei sul set di Partner, nato nella convinzion­e che “un intellettu­ale europeo in questo momento è impotente a condurre una lotta rivoluzion­aria”. Eppure, Bertolucci la stava mettendo in campo, anzi, nei nostri orecchi: Partner era in presa diretta, rifiutava il doppiaggio, “perché ha ragione Godard quando dice che ‘in Italia non conoscete il cinema parlato, ma solo quello doppiato’”.

SCORRONO I VOLTI, Truffaut e Lelouch che terminano anzitempo la ventunesim­a edizione di Cannes, in solidariet­à alle lotte operaie e studentesc­he, la giurata Monica Vitti che “deve tenere conto della realtà”, il visionario Marco Ferreri che a Venezia era già oltre la contestazi­one stessa. Poi quel peto inverecond­o, e per finire Paul McCartney che si scaccola sulle note di Happiness

runs di Donovan.

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Una scena tratta dal doc “Il gusto della libertà” nel quale anche Verdone racconta il suo ’68

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