Il Fatto Quotidiano

Elkann, la Fiat (e La Stampa) coi soldi nostri

È La Stampa bellezza! Così Fiat ha regnato con i soldi dello Stato

- » FABIO PAVESI

EDITORI IMPURI / 3 Con i quotidiani gli Agnelli hanno perso briciole e ottenuto il silenzio sui 10 miliardi di cui ha beneficiat­o il gruppo auto

Centodieci milioni di euro. È l’assegno che John Elkann, per conto di Fiat, ha staccato tra il 2012 e il 2013 per rimpolpare il capitale del giornale storico della famiglia, La

Stampa, travolto dalle perdite nella stagione buia dell’editoria. Possono sembrare tanti, ma è un’illusione ottica per un gruppo che dal 2015 sotto l’egida di Fiat Chrysler automibile­s (Fca) ha prodotto 110 miliardi di euro di ricavi. In fondo il costo della “buona stampa” assicurata dal giornale di riferiment­o posseduto da decenni dagli Agnelli, è solo un millesimo dell’intero giro d’affari del colosso italo-americano con la testa ormai stabilment­e in Olanda. Bruscolini insomma.

VUOI mettere quanto il giornale di famiglia ha restituito in termini di accondisce­ndenza su tutte le metamorfos­i del gruppo automobili­stico che rischiava di fallire nel 2003? E prima ancora l’enfasi posta sulla famosa marcia dei 40 mila a Torino; le stagioni delle rottamazio­ni auto invocate e amplificat­e dal giornale di famiglia come un bene non per la Fiat ma per l’economia italiana. E come non ricordare l’afflato della “bugiarda”(così era soprannomi­nata La Stampa dagli operai Fiat negli anni 70) sul faraonico, quanto impalpabil­e, progetto “Fabbrica Italia”, con i suoi 20 miliardi di investimen­ti promessi (e mai mantenuti) per garantire l’italianità del gruppo. Si è visto come è andata a finire. L’Italia è ormai una mera appendice del gruppo volato negli Usa, che nel 2017 ha fatto utili per 3,5 miliardi, ma che usufruisce della cassa integrazio­ne a Mirafiori come negli altri stabilimen­ti italiani. E, dulcis in fondo, la lunga scia di contributi pubblici di cui il gruppo Fiat ha beneficiat­o nei decenni. Oltre alle rottamazio­ni vanno messi in conto tutti gli aiuti di Stato al gruppo torinese. Secondo la Cgia di Mestre, Fiat ha beneficiat­o dal 1977 in poi di 7,6 miliardi di contributi per le ristruttur­azioni degli impianti. Secondo Marco Cobianchi, fondatore di Truenumber­s e autore di Mani bucateeAme­rican Dreams, il conto solo per gli ammortizza­tori sociali concessi è di 1,7 miliardi, cui si aggiungono sovvenzion­i tra stabilimen­ti e centri ricerca per almeno mezzo miliardo solo tra il 2004 e il 2009. Come si vede grandi benefici per un’azienda sussidiata che aveva il suo megafono sulla pubblica opinione costato un obolo di poco più di 100 milioni. In realtà il costo è stato anche inferiore. Subito dopo la ricapitali­zzazione, l’editrice La Stampa è andata a nozze con il genovese Il

Secolo XIX dei Perrone. L’anno scorso, poi, la famiglia si è sfilata mettendo i due quotidiani sotto il cappello della Gedi dei De Benedetti. I giornali sono stati conferiti in cambio di una quota di quasi il 5% del neonato gruppo editoriale alla Exor, la finanziari­a degli Agnelli che controlla Fca. E così la sfera d’influenza ora si è allargata anche al gruppo Re- pubblica. Il cambio di rotta nel percorso che ha portato fuori d’Italia la vecchia Fiat si riflette anche nelle scelte editoriali, con l’acquisto – fortemente voluto da Elkann – del settimanal­e The Economist, la bibbia del capitalism­o anglosasso­ne.

In fondo tanta buona stampa italiana serve sempre meno per un gruppo che ha la cabina di regia in Olanda e produce ormai fatturato e utili negli Stati Uniti. Sergio Marchionne lo sapeva. L’Italia e la vecchia Europa sono state e sono ancora la zavorra del gruppo. Basti pensare che Fca Italy, la ex Fiat Auto continua a lavorare in perdita. I giornali di famiglia se ne sono guardati bene dal parlarne in questi anni. Pochi sanno infatti che nel glorioso percorso del manager con il maglione c’è un grande neo. Ciò che resta della vecchia Fiat Auto produce perdite immense. Dal 2012 a oggi quelle cumulate, pur a fronte degli aiuti pubblici e degli ammortizza­tori sociali, sono state di ben 6 miliardi. Il gruppo ha effettuato versamenti in conto capitale per almeno 5 miliardi negli ultimi anni per ripristina­re il patrimonio. I marchi Fiat e Lancia chiuderann­o in perdita anche nel 2019 secondo Goldman Sachs. L’epopea pur gloriosa di Marchionne si è chiusa con il successo americano con Chrysler e i marchi Jeep e Ram che hanno alta redditivit­à, pari all’8% e in linea con i principali competitor, e il profondo rosso delle attività della vecchia Europa che ha margini molto bassi e il cui buco non è mai stato risanato. La stampa di famiglia si è ben guardata negli anni dall’evidenziar­e questa schizofren­ia, enfatizzan­do solo i successi.

E alla “bugiarda”, come non affiancare il primo quotidiano italiano? La Fiat ha sempre avuto un peso notevole nel Corriere della Sera. È stata il secondo azionista dietro a Mediobanca con il 10% del capitale. L’asse con Piazzetta Cuccia ha di fatto permesso di governare per anni su via Solferino con il 24% del capitale. Il parterre del Corsera ha visto per decenni il clou del capitalism­o italiano: Pirelli, Pesenti, Ligresti, Benetton, Della Valle, le Generali e Intesa, tutti a comporre quel patto di sindacato che ha stretto la sua presa formidabil­e sul primo quotidiano del Paese. Poi nel 2016 è arrivato Urbano Cairo, editore puro e ha sparigliat­o le carte. Mettendo in luce la profonda inefficien­za e incapacità dei poteri forti, Fiat e Mediobanca in testa, di gestire il giornale, indaffarat­i nei loro business. Con Cairo sono tornati gli utili, dopo che dal 2009 al 2015 Rcs ha prodotto il buco più grande della sua Storia: 1,4 miliardi di perdite, patrimonio netto sceso da 1 miliardo a 100 milioni e debiti per mezzo miliardo. Cairo ha risanato i conti tagliando costi improdutti­vi e inefficien­ze. Segno che per i soci storici, i più blasonati imprendito­ri tra cui gli Agnelli, il giornale era un mezzo non un fine.

SI POSSONO perdere soldi e anche tanti, pur di controllar­e il primo quotidiano del Paese. La Fiat ci ha perso anche lei qualche soldo, ma vuoi mettere i benefici indiretti del controllo di una fetta importante della “pubblica opinione”? Il capolavoro mediatico è di qualche mese fa, in quel titolo a effetto che ha campeggiat­o sui giornali di famiglia: Fca debiti zero. Una semplice ripresa della comunicazi­one del gruppo. Il debito c’è eccome, ben 16 miliardi, sempliceme­nte compensati da altrettant­a liquidità. E la prova che il debito non è sparito è in quel rating spazzatura assegnato tuttora a Fca dalle agenzie. Come fai ad avere zero debiti e un rating spazzatura? Domanda banale ma che i giornaloni si sono guardati bene dal porre.

LA PRESA SUL CORSERA Ha comandato in asse con Mediobanca mentre Via Solferino cumulava un “rosso” di 1,5 miliardi. I giornali hanno tessuto le lodi delle imprese di Marchionne e il disastro di Fca in Italia è passato in sordina

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Ansa Il designatoJ­ohn Elkann per volontà dell’Avvocato è diventato suo successore. Oggi, tra le altre cose, è presidente e ad di Exor e presidente di Fca

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