Tutti quegli Ulisse appesi alle spalle dei loro Telemaco
Mentre le pagine dei quotidiani traboccano di dettagli sulle assunzioni in nero di papà Di Maio nella sua azienda e mentre il dibattito collettivo è impegnato a mettere a confronto le vicende del padre dell’attuale vicepremier con quelle di papà Boschi e di papà Renzi (sotto diretto suggerimento della progenie Pd, tra l’altro), non possiamo non notare come la lista dei padri ingombranti vada allungandosi ogni giorno di più.
Nessuno aveva informato Telemaco che, mentre lui brigava per meritarsi l’eredità genitoriale, Ulisse nel frattempo ne stesse combinando di tutti i colori. Ed eccoli qui: un Ulisse (babbo Renzi) che se ne va in giro a impicciarsi di Consip grazie allo stesso cognome del figlio premier e si fa indagare per traffico d’influenze (con richiesta di archiviazione); un altro Ulisse (babbo Boschi) che, da semplice consigliere d’amministrazione, diventa nientemeno che vicepresidente di una banca grazie al potere riflesso di una figlia che è appena diventata ministro; un terzo Ulisse ( Di Battista senior) che sfrutta in ogni situazione la notorietà del figlio per attirare su di sé i riflettori, una volta rivendicando il proprio essere ‘fascista’, un’altra strillando contro il presidente della Repubblica sui social fino a farsi indagare per vilipendio al capo dello Stato; e infine l’ultimo (Di Maio padre), che intesta il 50% delle azioni della propria impresa al figlio, dimenticandosi però di informarlo di aver fatto lavorare in passato alcuni operai in nero.
E DIRE CHE TELEMACO se ne stava sulla riva anelando il ritorno del padre perché riportasse giustizia a Itaca: tutto considerato, conveniva vedersela direttamente coi Proci e lasciare che papà continuasse la sua Odissea altrove. Auspicabilmente il più lontano possibile dalla carriera politica della prole. Eh sì, perché se c’è un elemento comune a tutte queste situazioni, molto diverse tra loro ma che guardacaso investono i quattro principali giovani leader che hanno abitato la scena politica degli ultimi anni, è un’inquietante tendenza genitoriale al parassitismo. La scomparsa del padre-padrone nella società contemporanea combacia con vicende biografiche che raccontano di figure paterne pronte a vampirizzare i successi dei pargoli a proprio vantaggio, genitori che hanno scambiato l’autorità con i benefit. Così l’onda della generazione Telemaco, che entra nella Storia carica di progetti ambiziosi, come quello di sbarazzarsi della vecchia classe dirigente (la “Rottamazione”) o di cambiare il corso degli eventi (il “governo del cambiamento”), s’infrange contro l’impossibilità di smarcarsi dalla modestia di genitori avidi o presenzialisti, comunque eccessivamente ‘concreti’. Di fronte a questi exploit paterni che si abbattono come ruspe, in piena retorica salviniana, sulle carriere dei figli, sui loro percorsi, sulla credibilità faticosamente guadagnata, si presenta la scelta: decidere di agire in correità col padre nel tentativo di proteggerlo, per affetto o per non veder intaccato il proprio buon nome (ma soprattutto cognome), o prendere le distanze nel tentativo di smarcarsi dall’equazione tale padre tale figlio? A prescindere dalla correttezza del comportamento che si sceglie di adottare, comunque, resta di fatto uno smisurato spreco di energie, politiche e non, comune a tutti i Telemaco in causa, nel tentativo di arginare la potenza distruttrice di una schiera di Ulisse che non si sono mai liberati dal canto delle sirene, ma anzi hanno aspettato che i figli arrivassero al potere per metterne in atto i suggerimenti.