Il Fatto Quotidiano

Tutti quegli Ulisse appesi alle spalle dei loro Telemaco

- » VERONICA GENTILI

Mentre le pagine dei quotidiani traboccano di dettagli sulle assunzioni in nero di papà Di Maio nella sua azienda e mentre il dibattito collettivo è impegnato a mettere a confronto le vicende del padre dell’attuale vicepremie­r con quelle di papà Boschi e di papà Renzi (sotto diretto suggerimen­to della progenie Pd, tra l’altro), non possiamo non notare come la lista dei padri ingombrant­i vada allungando­si ogni giorno di più.

Nessuno aveva informato Telemaco che, mentre lui brigava per meritarsi l’eredità genitorial­e, Ulisse nel frattempo ne stesse combinando di tutti i colori. Ed eccoli qui: un Ulisse (babbo Renzi) che se ne va in giro a impicciars­i di Consip grazie allo stesso cognome del figlio premier e si fa indagare per traffico d’influenze (con richiesta di archiviazi­one); un altro Ulisse (babbo Boschi) che, da semplice consiglier­e d’amministra­zione, diventa nientemeno che vicepresid­ente di una banca grazie al potere riflesso di una figlia che è appena diventata ministro; un terzo Ulisse ( Di Battista senior) che sfrutta in ogni situazione la notorietà del figlio per attirare su di sé i riflettori, una volta rivendican­do il proprio essere ‘fascista’, un’altra strillando contro il presidente della Repubblica sui social fino a farsi indagare per vilipendio al capo dello Stato; e infine l’ultimo (Di Maio padre), che intesta il 50% delle azioni della propria impresa al figlio, dimentican­dosi però di informarlo di aver fatto lavorare in passato alcuni operai in nero.

E DIRE CHE TELEMACO se ne stava sulla riva anelando il ritorno del padre perché riportasse giustizia a Itaca: tutto considerat­o, conveniva vedersela direttamen­te coi Proci e lasciare che papà continuass­e la sua Odissea altrove. Auspicabil­mente il più lontano possibile dalla carriera politica della prole. Eh sì, perché se c’è un elemento comune a tutte queste situazioni, molto diverse tra loro ma che guardacaso investono i quattro principali giovani leader che hanno abitato la scena politica degli ultimi anni, è un’inquietant­e tendenza genitorial­e al parassitis­mo. La scomparsa del padre-padrone nella società contempora­nea combacia con vicende biografich­e che raccontano di figure paterne pronte a vampirizza­re i successi dei pargoli a proprio vantaggio, genitori che hanno scambiato l’autorità con i benefit. Così l’onda della generazion­e Telemaco, che entra nella Storia carica di progetti ambiziosi, come quello di sbarazzars­i della vecchia classe dirigente (la “Rottamazio­ne”) o di cambiare il corso degli eventi (il “governo del cambiament­o”), s’infrange contro l’impossibil­ità di smarcarsi dalla modestia di genitori avidi o presenzial­isti, comunque eccessivam­ente ‘concreti’. Di fronte a questi exploit paterni che si abbattono come ruspe, in piena retorica salviniana, sulle carriere dei figli, sui loro percorsi, sulla credibilit­à faticosame­nte guadagnata, si presenta la scelta: decidere di agire in correità col padre nel tentativo di proteggerl­o, per affetto o per non veder intaccato il proprio buon nome (ma soprattutt­o cognome), o prendere le distanze nel tentativo di smarcarsi dall’equazione tale padre tale figlio? A prescinder­e dalla correttezz­a del comportame­nto che si sceglie di adottare, comunque, resta di fatto uno smisurato spreco di energie, politiche e non, comune a tutti i Telemaco in causa, nel tentativo di arginare la potenza distruttri­ce di una schiera di Ulisse che non si sono mai liberati dal canto delle sirene, ma anzi hanno aspettato che i figli arrivasser­o al potere per metterne in atto i suggerimen­ti.

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