Il Fatto Quotidiano

Deutsche bank è di nuovo nei guai ma per riciclaggi­o

Perquisite le sedi: “Clienti aiutati a creare società off-shore”. Non c’è scandalo in cui non sia finito il gruppo tedesco

- » MATTIA ECCHELI

Avolte ritornano. Sono i procurator­i tedeschi che, come nel dicembre del 2012, hanno perquisito ieri la sede della Deutsche Bank con un massiccio dispiego di forze. E ancora una volta aleggia il sospetto che il più grande istituto di credito della Germania, il terzo come asset in Europa, sia coinvolto nel riciclaggi­o. L’operazione, che proseguirà anche oggi, ha visto all’opera 170 tra funzionari della Procura, della Polizia federale, di quella criminale e degli agenti del fisco che hanno ispezionat­o sei strutture della banca in Assia, anche a Eschborn e Gross-Umstadt.

IL NUOVOcaso nasce dall’analisi dei cosiddetti Of fshore-LeaksePana­ma Papers. Almeno due dipendenti della Deutsche Bank sono sospettati di aver favorito clienti (a loro volta indagati) nell’aprire società fittizie in paradisi fiscali. In ballo non c’è l’evasione, ma il riciclaggi­o. Cioè lo stesso reato per il quale la banca è stata coinvolta anche nello scandalo dell’istituto danese Danske Bank attraverso la cui filiale estone sarebbero stati “ripuliti” 230 miliardi di dollari usciti dalla Russia, colpita da sanzioni internazio­nali.

Secondo l’accusa, due dipendenti di 46 e 50 anni e altri ancora ignoti, avrebbero omesso di segnalare operazioni sospette di riciclaggi­o, malgrado fossero evidenti fin d al l ’ inizio. Attraverso una controllat­a della banca con sede nelle Isole Vergini Britannich­e soltanto nel 2016 sarebbero stati seguiti 900 clienti con un volume d’affari di 311 milioni di euro. L’indagine è però più estesa e va dal 2013 al 2018 ed è partita ad agosto.

“Collaborer­emo con la Pro- cura – ha assicurato Jörg Eigendorf a nome diDeutsche Bank – perché anche noi siamo interessat­i a un chiariment­o pieno e veloce dei sospetti”. Il gruppo ha chiuso in Borsa con un tonfo del 3,5%, ai minimi storici. Negli ultimi anni il gruppo ha cambiato molte volte il top management. Ad aprile il tedesco Christian Sewing è stato nominato Ceo, subentrand­o al britannico John Cryan, nominato tre anni prima con l’obiettivo di risanare non solo i conti della banca, ma anche la sua immagine.

Perché Deutsche Bank – quasi 98 mila dipendenti a fine 2017, ma destinati a scendere sotto quota 90 mila entro la fine del 2019 – è stata coinvolta praticamen­te in tutti gli scandali planetari degli ultimi anni. Tanto che già nel 2016 uno studio del Fondo monetario internazio­nale la definiva “il più grande contributo­re netto di rischio sistemico globale”. Almeno come asset è il terzo gruppo europeo dopo due istituti francesi, anche se per capitalizz­azione è agli ultimi posti della Top 10. Ma in quanto a derivati non è secondo a nessuna nel Vecchio continente: il valore “n o z io n a le ” l or d o dell’esposizion­e è di oltre 50 mila miliardi.

Nei soli ultimi 6 anni il totale della multe a carico della ban- ca tedesca, che secondo la ricerca “Dirty Profits” è anche tra i finanziato­ri delle società che fabbricano armamenti (per un totale di 1,9 miliardi), supera i 10 miliardi. La lista degli scandali nei quali spunta il suo nome sono molti. Se la Deutsche Bank fosse italiana sarebbe già finita sotto il tiro incrociato delle autorità finanziari­e, oltre che politiche. Ma, come dicono alcuni esperti, è too big to fail, troppo grande per fallire. O meglio, per permettere che fallisca.

NEL 2012 aveva versato 202 milioni di dollari negli Stati Uniti per chiudere il contenzios­o legato allo scandalo dei mutui sub prime della sua controllat­a americana. L’anno dopo la Commission­e europea l’aveva multata (725 milioni, la sanzione più alta per un singolo istituto) per la manipolazi­one del tasso di riferiment­o dei mercati finanziari (Libor). Nel 2014 era stata condannata in Germania e risarcire con 775 milioni (più gli interessi) gli eredi dell’imprendito­re dei media Leo Kirch per le incaute affermazio­ni dell’allora capo Rolf Breuer che avevano “affondato” il gruppo. Per la stessa infrazione sul Libor in Gran Bretagna ha pagato 2,33 miliardi nel 2015. Due anni fa si era accordata negli Usa per pagare 7 miliardi in relazione allo scandalo delle ipoteche.

La banca stima di tornare in utile a fine anno, malgrado anche il terzo trimestre sia stato più debole rispetto a quello del 2018. I profitti sono scesi del 9% a 6,2 miliardi, di euro. Il problema è nelle vendite e nel trading, da cui arriva metà del fatturato, un tempo il suo fiore all’occhiello. Per salvarlo il governo ipotizza una fusione con la Commerzban­k, anch’essa multata nel 2015 per 1,45 miliardi di dollari nel 2015 negli Usa per riciclaggi­o.

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