Chiamparino e Fassino: la doppia firma sulle profezie
Quando ancora c’era il Pci, nella Torino di Gramsci e Togliatti, giocavano a fare il “poliziotto b uo n o” e il “poliziotto ca ttiv o”. Il cattivo non era difficile da individuare:
Piero Fassino, l’arrogante, l’intrattabile, il brutalizzatore di giornalisti nelle conferenze stampa e il grande censore quando, la sera, scendeva nella redazione torinese de l'Unità per adeguare gli articoli ai diktat del Partitone. Sergio Chiamparino, invece, sin da quegli anni era capace di indossare la maschera bonaria di un Gianduja applicato alla via italiana al comunismo. Uguali, soprattutto nell’incredibile acrobazia di andar d’accordo con il mondo Fiat, solo all’apparenza un “nemico di classe”. E adesso che a Torino la Fiat non c’è più, si consolano scrivendo libri a quattro mani.
Il primo, un agile pamphlet di sole 96 pagine, si intitola Tav, perché sì ed è la stessa casa editrice – La nave di Teseo – ad associarne l’uscita all’attualità torinese: “Dopo la manifestazione del 10 novembre per il Sì e alla vigilia di quella dell’ 8 dicembre per il No...”. Fassino è risorgimentale: “Nessuna nazione può immaginare il proprio futuro chiudendosi nei suoi c o n fi n i ”. Chiamparino sembra piuttosto inseguire Freud e Jung: “La vicenda della Tav ha a che vedere con la paura...”. Parlando come si mangia, si tratta di un libretto elettorale che vuole lanciare la ricandidatura di Chiamparino alla guida del Piemonte puntando proprio sul tema dell’Alta velocità, da sottrarre in tutta fretta al centrodestra e a un certo qualunquismo civico della manifestazione Sì Tav. Con un grande atto di coraggio da parte soprattutto di Chiamparino: mettersi con la Cassandra-Fassino, quello che invitava Grillo a fondare un partito e Appendino a provare a diventare sindaco di Torino. Ora c’è il rischio che dica: “Sergio, provaci tu a far partire un treno veloce...”. Magari nelle urne piemontesi, a primavera.