Lo strapotere dell’algoritmo ci cambia la vita
“Il servizio pubblico televisivo, contrariamente a quanto si possa pensare, è destinato a svolgere un ruolo ancora più importante al cospetto di una platea di fruitori altamente frammentata e polarizzata di cui occorre, almeno in una certa misura, ricostruire la coesione”
(da Is competition a click away? di Stefano Mannoni e Guido Stazi – Editoriale scientifica, 2018 – pag. 85)
Chiunque navighi abitualmente sulla Rete sa, per esperienza personale, che a volte si può avere l’impressione di essere seguiti, spiati, pedinati. Basta riservare una volta un albergo online a Milano o a Bari, o in qualsiasi altra città d’Italia o del mondo, che da quel momento scatta una specie di persecuzione digitale; un bombardamento di messaggi e offerte promozionali con il medesimo obiettivo, come se uno dovesse recarsi continuamente nello stesso luogo. E altrettanto avviene se il malcapitato internauta prenota un ristorante via Internet, acquista un giocattolo per un figlio o per l’adorata nipotina o qualsiasi altro oggetto per sé o per la casa.
La “persecuzione digitale” non è però un’esclusiva dell’e- commerce. È una prerogativa strutturale delle piattaforme tecnologiche attraverso cui la Rete normalmente funziona. Parliamo dei “giganti del web”, cioè di Google, Amazon e Facebook che dovrebbero essere considerati “attori monopolisti da perseguire con le leggi antitrust”. Ovvero, come li ha definiti l’americano Jonathan Taplin, “i nuovi sovrani del nostro tempo”.
DI QUESTO VARIEGATO fenomeno si occupa il saggio citato all’inizio, con il sottotitolo “Sfida al monopolio dell’era digitale”. Nel loro denso libretto, gli autori smontano innanzitutto il “mito del garage”, quello in cui la leggenda vuole che Steve Jobs abbia fondato il colosso Apple, e poi il “mito della gratuità”, per segnalare che sono i dati la moneta circolante dell’economia digitale. E avvertono: “L’avvento dell’algoritmo ha inaugurato una stagione totalmente nuova in cui sono le macchine che colludono e non gli uomini”.
Ecco, il potere dell’algoritmo. La misteriosa formula informatica, coperta dal segreto commerciale, che permette di risolvere problemi specifici attraverso una sequenza di precise istruzioni. Dalla pubblicità di un albergo o di un ristorante, appunto, fino alle informazioni che determinano le opinioni e le scelte politiche dei cittadini. Tanto più necessaria, dunque, è la garanzia della trasparenza in questo campo e l’intervento di una regolamentazione ispirata ai principi della normativa antitrust.
Dal piano economico e commerciale, il discorso si estende a quello politico e istituzionale. In un paragrafo intitolato “Pluralismo e populismo”, gli autori del libro esprimono “il sospetto che le piattaforme digitali favoriscano la polarizzazione delle opinioni (…), producendo un effetto eco che amplifica e ratifica le convinzioni sottraendole al test della dialettica”. A loro parere, insomma, è “il solipsismo della navigazione solitaria” il più potente promotore e alleato per la proliferazione dei populismi.
Si può concordare o meno con questa analisi, ma la questione riguarda il tema più generale della democrazia moderna e merita perciò un’attenta riflessione. Se è vero che le piattaforme tecnologiche “incidono sulla formazione dell’opinione pubblica senza pagare alcun prezzo in termini di immagine e di accountability”, è altrettanto vero però – come riconoscono gli stessi autori del saggio – che si tratta di “architravi necessarie dell’esistenza”. E quindi, il livello della democrazia può dipendere anche dal loro grado di trasparenza e dal loro corretto funzionamento.