“La scuola italiana è bulimica e noiosa Le pause servono”
“Iperiodi di vacanza devono servire per esperienze non legate alla didattica scolastica”: a dirlo è Raffaele Mantegazza, professore associato di Pedagogia interculturale all’Università Bicocca di Milano.
Professore, troppi compiti a casa? La scuola sta occupando sempre più il tempo dei nostri ragazzi con una efficacia che non è proporzionale allo sforzo. La quantità e la qualità non vanno di pari passo. Si demanda ciò che dovrebbe essere appreso in classe e i compiti a volte sono ripetitivi e noiosi, alcuni anche poco utili didatticamente.
Ci faccia un esempio.
I libri dei compiti per le vacanza delle scuole elementari: sono brutti, non stimolano la mente, sono banali, ripetitivi, ambientati sempre al mare o in montagna. Non c’è uno sforzo di creatività, oltretutto in un periodo come quello estivo in cui voglia di fare i compiti comprensibilmente è già poca. Sono poi pura ripetizione. Nessuna rielaborazione originale delle esperienze fatte in classe né ricerca personale. Così i ragazzi li scaricano dal web.
Qual è l’alternativa?
Pochi ma belli: pochi compiti, che occupino poco spazio ma che siano coinvolgenti, più possibile personalizzati, legati alla realtà del ragazzo e alle sue esperienze. Dalle interviste alle pagine di diario: portare nella scuola ciò che è fuori. Ecco, di solito si porta la matematica a casa. Chiediamo invece di portare da casa qualcosa in classe, per poi magari farne una analisi. E non diamo i voti sui compiti. Che se li ha fatti la zia, poi si dà un voto alla zia.
Come si può invertire la rotta? Con la qualità: l’eccessiva dispersione di tempo, usato male, è negativa. Meglio mezz’ora di concentrazione totale invece che due ore dispersive, tra distrazioni e cinque diverse materie, che poi magari le si fanno tutte male. La scuola oggi è bulimica, troppo grassa: deve fare meno cose e farle bene. Basta lezioni e nozioni a memoria, insomma? Basta farle in modo vessatorio. Bisogna coinvolgere gli studenti: quando insegnavo alle superiori, avevo chiesto a due miei alunni di imparare a memoria “A Silvia” di Leopardi. Ne hanno fatto una versione rap: così l’hanno imparata, hanno colto la musicalità, l’hanno capita, l’hanno elaborata e si sono divertiti. E hanno faticato. Come un giocatore: deve imparare a memoria lo schema, ma lo fa perché si diverte a giocare. E le vacanze? Sono sacre?
Distinguerei: le vacanze di Natale sono un momento magico. Al di là delle credenze, c’è comunque un’atmosfera particolare e arrivano in un momento dell’anno in cui i ragazzi hanno già messo molte energie nella scuola e aspettano la partenza del nuovo quadrimestre. Sarebbe quindi ottimo se leggessero un libro o guardassero un film e poi lo raccontassero in classe. Come pedagogista non credo che in due settimane si dimentichi tutto quello che si è imparato: significherebbe che è stato appreso male. Le vacanze di Pasqua poi durano ancora meno. E l’estate?
Siamo un Paese mediterraneo, se li tieni fino al 30 giugno a scuola, come dicono molti, i ragazzi li fai arrosto. Anche qui: magari pagine di diario, libri da leggere. Non credo che se non fai matematica per tre mesi la dimentichi. Magari i primi giorni di scuola fai un ripasso, ma l’importante è che i ragazzi tengano la mente occupata. Una volta ho fatto fare reportage fotografico di Milano a ferragosto. Ha pensato comunque alla scuola ma gli è piaciuto. C’è chi sostiene che ore di studio forniscano un metodo di lavoro.
Al liceo classico, c’è chi trascorre 5 ore sui compiti di greco: probabilmente neanche Esopo lo faceva! Il metodo è uno strumento, una strada, per un obiettivo che da adulti è lo stipendio o l’amore per il lavoro che si fa: di questo passo rischiamo di crescere come meri esecutori ignari del senso e del fine di ciò che fanno.
Ciò che si impara bene non sparisce in due settimane di ferie Durante le pause ci si deve dedicare ad altre esperienze e bisogna rendere i compiti avvincenti