Il Fatto Quotidiano

Buu-uu al giocatore nero Macché razzismo: è questione di feeling

- » ALESSANDRO ROBECCHI

Fare l’esegeta del signor Salvini, ministro dell’Interno, è una faccenda complicata. Non sai mai quando cazzeggia e quando fa sul serio, con quale cappello sta parlando, capopopolo, responsabi­le della security, addicted allo spuntino di mezzanotte. In divisa sembra il poliziotto dei Village People, e questo in attesa che si incazzino un po’ i poliziotti veri, che la divisa la mettono tutti i giorni.

EPPURE IL SALVINI va decrittato, ed ecco una frase su cui esercitars­i per bene, pronunciat­a dal signor ministro alla riunione sulla violenza negli stadi: “Sul razzismo è troppo difficile trovare criteri oggettivi”. Cioè, cerchiamo di tradurre. Se mezzo stadio grida buu-uu ogni volta che un nero tocca palla, come fai a dire “oggettivam­ente” che si tratta di razzismo? Potrebbe essere che prima della partita quello ha rigato la macchina a ventimila persone. Potrebbe essere una cosa personale. Affari di cuore. Questioni di soldi. Insomma, se tu vai allo stadio e ti siedi lì per gridare

buu-uu a un nero non è detto che tu lo faccia perché è nero, non ci sono “criteri oggettivi”, Salvini dixit.

Nel malaugurat­o caso di razzismo sovranista nazionale – caso di scuola, i cori contro Napoli e i napoletani – si tratta secondo Salvini di “campanilis­mo”. Detto a dieci giorni da una battaglia col morto fuori dallo stadio tra nazisti italiani e francesi e tifosi napoletani, è piuttosto sorprenden­te. Non vorrei scoprire un domani che il campanilis­mo può spingersi fino alla strage, al bombardame­nto, alla guerra batteriolo­gica, ma c’è tempo, aspettia- mo con fiducia. A oggi, quel che sappiamo per certo è che Salvini, l’uomo della linea dura, sul razzismo “non oggettivo” da stadio è per la linea morbida, troncare, sopire, dopotutto sono ragazzate, campanilis­mo, che male c’è, eccetera eccetera.

Intanto, fuori dal magico mondo di Salvini, nel disgraziat­o Paese reale, c’è gente che or- ganizza spedizioni con spranghe e bombe carta. Mica tanto ragazzini, poi, perché nelle retate (e negli ospedali) spuntano signori quaranta- cinquanten­ni, imprendito­ri, padri di famiglia, buona e brava gente della nazione, e non adolescent­i disadattat­i.

“Cara, hai visto la mia roncola?, sai, volevo andare allo stadio”.

Inutile dire che poi molti di questi gentiluomi­ni così sportivi risultano iscritti a circoletti non proprio hegeliani, che amano le svastiche, che cantano coretti contro gli ebrei, che si fregiano di nomignoli spensierat­i come Blood & Honour e cosucce consimili, che dovrebbero interessar­e parecchio un ministro dell’Interno, ma che sono alla fin fine ideologica­mente contigui a Salvini e al salvinismo.

È sbagliato dire che alla riunione sul razzismo negli stadi non c’erano i capi delle tifoserie più estreme, quelli che “per cam- panilismo” urlano “Forza Vesuvio”. Era presente, infatti, l’ultrà

ad honoremdi tutti gli ultrà, Matteo Salvini, già noto per un video in cui canta cori vergognosi contro i napoletani (puzza, colera, disoccupat­i, il luogocomun­ismo del nordista ignorante). Lo stesso Salvini, tra l’altro, sorpreso in affettuosi abbracci con un capo ultrà pluriconda­nnato (tal Luca Lucci, condanna definitiva per lesioni, patteggiam­ento per spaccio).

DIFFICILE PENSARE che gli ultrà delle curve avranno grossi problemi con un ministro così amico, e anche una minima indagine semantica su slogan da stadio e slogan politici del salvinismo, ormai vaporizzat­o nella società, rivelerebb­e grandi somiglianz­e: per quelli che fanno buu-uu ai giocatori neri avere Salvini al Viminale non è niente male. La famosa riunione sugli stadi italiani con arbitri, associazio­ni, leghe varie, istituzion­i, forze dell’ordine, è stata presieduta da uno che due settimane prima rideva e scherzava insieme a un delinquent­e della curva a una festa di tifosi, nient’altro da aggiungere, vostro onore.

LA LINEA DEL VIMINALE Salvini è stato chiaro: non si fermano le partite Quelli che gridano “forza Vesuvio” brindano: in fondo al ministero c’è uno di loro

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