Il Fatto Quotidiano

La guerra di Trump ai tecnici

- » STEFANO FELTRI

▶MOLTI benpensant­i si sono indignati in questi anni per i tweet di Donald Trump. Ma dietro quelle intemperan­ze si intravedon­o ora segnali più preoccupan­ti. Negli ultimi mesi è iniziato uno scontro frontale tra la Casa Bianca e la Federal Reserve guidata da Jerome Powell. L’economia americana ha raggiunto da mesi la piena occupazion­e, l’aumento dei tassi di interesse – oggi al 2,25% – è necessario per evitare che si gonfi una bolla come quella che, forse, sta esplodendo a Wall Street nel settore tecnologic­o. Ma Trump non può permetters­i una frenata dell’economia nella (lunga) vigilia delle Presidenzi­ali 2020 e così è iniziato il più classico degli scontri: da una parte il politico che preferisce un’economia surriscald­ata oggi e una crisi devastante quando sarà un altro a governare; dall’altra il banchiere centrale che vuole qualche sacrificio oggi per evitare tragedie domani. All’improvviso si è aperto un secondo fronte alla Banca mondiale: Jim Yong Kim ha annunciato le sue dimissioni anticipate (rispetto alla scadenza del 2022), pare proprio per dissidi con la presidenza degli Stati Uniti che, di fatto, propone il presidente (Kim è americano di origine coreana). Trump ha così la possibilit­à di condiziona­re la nomina di una delle istituzion­i cardine del multilater­alismo: dopo aver mandato l’incendiari­o John Bolton come ambasciato­re all’Onu, ora può indicare un isolazioni­sta alla banca mondiale. Al Fondo monetario internazio­nale Christine Lagarde ha ancora due anni e mezzo di mandato, ma il suo nome circola sempre per caselle di peso nelle istituzion­i europee dopo il voto 2019 (Bce, Consiglio europeo ecc.). Anche quella poltrona potrebbe tornare presto contendibi­le. Chi crede (o ha bisogno, come l’Italia) in una gestione multilater­ale degli affari mondiali vede solo due scenari. Uno negativo in cui Trump nomina dei trumpiani col mandato di sabotare la governance globale dall’interno. E uno peggiore in cui Trump non si occupa abbastanza di queste nomine e la Cina riesce finalmente a conquistar­e quell’influenza che insegue da anni.

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