Il Fatto Quotidiano

Germania infelix: ecco dove nascono i guai di Unicredit

- » FABIO PAVESI

C’è stato il colpo basso della Turchia, con quella svalutazio­ne di oltre 800 milioni effettuata nell’ultima trimestral­e sulla controllat­a Yapi, a ricordare che per una banca globale e sistemica (l’unica italiana) come UniCredit le sorprese possono arrivare da qualunque parte del mondo. Ma la banca guidata da Jean Pierre Mustier ha quest’anno un cruccio in più e si chiama Germania. Sembra un paradosso, ma le cose nel 2018 non vanno bene in terra tedesca. Tra le molteplici attività del gruppo, la Germania è quella che langue di più nei conti dell’istituto.

LA SORPRESAsi è vista nei conti dei primi 9 mesi dell’anno: il mercato tedesco è oggi un problema. Il margine d’interesse è sceso di un buon 11% in 12 mesi, da 1,25 miliardi a quota 1,12 nel settembre di quest’anno. Anche le altre voci di ricavo prodotte a Francofort­e sono in calo, dal trading alle commission­i. Negli ultimi 12 mesi la divisione germanica ha conseguito 1,85 miliardi a fronte dei 2,06 del 2017. La divisione commercial­e Italia ha visto un calo dei ricavi totali dell’1,2% ma non certo dell’11% come accaduto in terra tedesca. Ci si sono poi messe pure le sorprese negative una tantum ad appesantir­e la situazione. La divisione tedesca (che comprende pure la controllat­a Hvb) ha sofferto di un nuovo accantonam­ento straordina­rio di 342 milioni che hanno portato gli utili a più che dimezzarsi, a soli 200 milioni a fronte di quasi mezzo miliardo del 2017. Che le cose non vadano bene lo si evince dalla graduatori­a della redditivit­à tra le varie aree del mondo. Il commercial bankingted­esco ha oggi un Roac (il parametro usato da UniCredit) al 5,9% contro il 14% di un anno fa. Tanto per dare un’idea le attività in Italia vedono un Roac al 13,8%, più del doppio. L’Italia ha visto i pro- fitti netti salire da poco meno di 900 milioni a 1,11 miliardi, una crescita del 26%. Sul piano dell’efficienza operativa l’Italia oggi ha un rapporto di costi su ricavi al 56%, mentre la divisione tedesca con i suoi 9.300 dipendenti è vicina al 69%. Insomma: profitti dimezzati, redditivit­à tra le più basse del gruppo e un indice di efficienza operativa pessimo. L’area economica più solida dell’eurozona non premia chi fa banca.

Non è l’Italia oggi il malato per UniCredit. Eppure ancora si parla di un piano B. Un eventuale scorporo delle attività italiane (considerat­e più rischiose) dal resto del business di UniCredit da sempre forte nell’Europa dell’Est. A vedere i dati, però, le cure più urgenti servono al di là delle Alpi. Per il resto la cura Mustier prosegue. Fino- sporto, come chiede la Commission­e Ue, ma non ci riusciamo e comunque quando si va nella sede di un’i m p r esa l’autista non c’è, il camion spesso neanche perché è in giro, non è lo stesso che fermare un tir in autostrada”.

INVESTIGAT­E EUROPE

È un consorzio di nove giornalist­i in otto Paesi Ue sostenuto dalle fondazioni Hans Böckler, Fritt Ord, Hübner & Kennedy, Rudolf Augstein Foundation, GLS Treuhand, da Open Society per l'Europa e dalla Fondazione Cariplo.

Il team collabora con il “Fondo per giornalism­o” belga Il calo del margine di interesse della divisione tedesca nei primi 9 mesi del 2018 L’indice di profittabi­lità delle attività tedesche, contro il 14% di quelle italiane Mila persone, il calo del personale di Unicredit all’estero (erano 80 mila nel 2013) Il rapporto costi/ricavi del Branch tedesco

Regole europee: viva la liberalizz­azione

ra ha badato molto a pulire la banca dalla zavorra delle sofferenze, costata ai soci una perdita nel solo 2016 di 12 miliardi, dopo quella dell’era Ghizzoni per 13 miliardi nel 2013. Del resto UniCredit è la banca che più ha pagato il conto delle sofferenze. Come documenta R&S Mediobanca sui 74 miliardi di aumenti di capitale chiesti dal sistema bancario italiano dall’inizio della crisi per rimpolpare il patrimonio eroso dalle svalutazio­ni dei crediti malati, la sola UniCredit ha contribuit­o per oltre 27 miliardi.

ORA PERÒla banca ha un asset quality tra le migliori in Italia con i prestiti deteriorat­i lordi scesi all’8,3% del totale degli impieghi. Banca ripulita, ma ancora in mezzo al guado quanto a operativit­à. I ricavi sono ancora deboli, scesi dell’1,1% anche negli ultimi 12 mesi. Il risultato di gestione è in crescita solo per i continui tagli di costo. Solo dalla fine del 2015 sono usciti dal gruppo ben 13 mila persone tra esuberi e personale uscito con le cessioni. Notevole il dimagrimen­to all’estero dove nel 2013 UniCredit impegnava ben 80 mila persone scese a 43 mila a fine del 2017. Una cura da cavallo. E del resto la banca ha perso per strada solo negli ultimi 5 anni un 10% dei suoi ricavi totali. Insomma non si è ancora recuperata pienamente la capacità di tornare a fare ricavi come un tempo. Come stupirsi, dato che la banca ha effettuato una delle più pesanti strette sul credito, con i prestiti totali scesi per quasi 50 miliardi nell’ultimo quinquenni­o. La Ue ha da poco modificato le regole sui lavoratori distaccati, ribadendo il principio della “stessa paga in posti diversi”, il lavoratore deve essere remunerato al livello del Paese dove lavora la maggior parte del tempo. Ma il settore trasporti è stato escluso dalla direttiva. E allora la commissari­a ai Trasporti Violeta Bulc ha proposto un Mobility Package dove si ribadisce che il tempo di riposo deve essere trascorso lontano dal camion, dopo tre giorni in un Paese valgono le regole e i salari di quel Paese e, per favorire la lobby del trasporto su gomme, le revisioni possono essere fatte anche nel paese in cui si trova il camion. “Tutto in nome della liberalizz­azione, ormai il lavoro è una me rc e”, spiega Edwin Atema che da sette anni dà la caccia ai “pirati della strada” che hanno vinto, per ora. Il voto sul Mobility Package è stato prima bloccato in giugno all’Eu r op a rl a me n to . Torna al voto giovedì, con altre concession­i. Atema e la sua squadra di sindacalis­ti continua a portare in tribunale compagnie – l’anno scorso una corte in Olanda ha condannato la società olandese Brinkman a 100 mila

La cura da cavallo

La perdita per gli azionisti dalla pulizia dei bilanci LE SOLITE CARENZE La scheda I numeri

euro di multa e a correggere i contratti di molti non- europei assunti in Polonia. Una goccia nell’oceano. “G li autisti sono bombe sulle strade”, dice Atema, che ha guidato camion per 10 anni.

Due sindacati a confronto

Per Claudio Collotta, presidente di Anita, il sindacato delle imprese del trasporto su gomma, “il futuro è il trasporto intermodal­e”, treno più strada. Ma intanto meglio allungare il tempo di guida di un autotraspo­rtatore a tre settimane e la quarta ci si riposa, contro le due più una di oggi. “I m p o ssibile – dice Maurizio Diamante della Cisl, che si batte a Bruxelles per migliorare le norme attuali – l’autista ha bisogno di riposo e deve farlo lontano dal camion”. “Servono aree attrezzate – afferma Collotta – non si può prenotare un albergo, perché non si sa prima dove si fermerà l’autista. E poi, dove lasciare il camion pieno?”. Replica Diamante: “È un lavoro duro, ci vuole sicurezza, riposo e un giusto compenso. La gierra va fatta alle società fantasma nell’Europa dell’est”.

*Investigat­e Europe, www.investigat­e-europe.eu

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Ansa In cerca di rilancio L’ad di Unicredit, Jean Pierre Mustier
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