Il Fatto Quotidiano

“I dodici anni di Mujica, eterno sopravviss­uto”

IL FILM Il regista Alvaro Brechner e la sua testimonia­nza sul presidente uruguaiano

- » ANNA MARIA PASETTI

“Ancora oggi, quando mi sveglio ogni mattina, mi guardo attorno e sento che mi manca la mia cella”. Un paradosso, eppure questa frase che tanto ha sconvolto il regista Alvaro Brechner la prima volta che l’ha incontrato, raccoglie e sintetizza testa e cuore di José “Pepe” Mujica, il mitico ex presidente uruguagio, noto al mondo per la sua “rivoluzion­e povera” incarnata in uno stile di vita sobrio ed essenziale. D’altra parte solo un sopravviss­uto a 12 anni di prigionia in isolamento poteva diventare un tale campione di saggezza, modello anticapita­listico e filantropi­co. A lui, oggi vitalissim­o 85enne ancora residente nella fattoria ai bordi di Montevideo dove è nato e cresciuto, e ai suoi compagni guerriglie­ri Tupamaros è dedicato il film Una notte di 12 anni, scritto e diretto dal 42enne Brechner che ha avuto la première mondiale alla Mostra veneziana (sezione Orizzonti) ed è in uscita domani nelle sale italiane. Lungi dall’essere un biopic o un classico p ris on movie , l’opera drammatizz­a la terribile detenzione carceraria di Mujica, Mauricio Rosencof (oggi scrittore e poeta di fama) ed Eleuterio Fernández Huidobro, ex ministro della Difesa a partire da quel 1973 che vide l’avvio della dittatura militare durata fino al 1986: nel 1985 gli ostaggi politici del regime furono liberati per amnistia.

Come ha messo insieme il materiale per un film così politico eppure “p e rso n ale”? Mi sono basato sulle testimonia­nze precise dei tre protagonis­ti, ma ci sono voluti ben 5 anni per imbastire il tutto. Ricordo bene che Mujica in particolar­e teneva allo spirito dei fatti più che alla loro narrazione. Quell’isolamento era orientato a farli impazzire, non a ucciderli, essendo loro ostaggi. Il racconto che ho cercato di restituire loro nel mio film è dunque percettivo, sensoriale, certamente claustrofo­bico, un vero inferno dantesco dove spazio e tempo vanno a coincidere, uno spaccato sulla resistenza della natura umana estrema e assoluta. “Mai sarei diventato me stesso” continuava a dirmi il presidente mentre mi sconvolgev­a con quell’insana nostalgia della cella, ma per lui fonte d’illuminazi­one sul senso della vita.

Come sono riusciti a sopravvive­re Mujica e i suoi compagni?

Lui mi ha raccontato che a salvarlo è stata una psichiatra: stava per impazzire, i soldati – forse per distrarsi loro stessi dalla monotonia – l’hanno accompagna­to all’ospedale. “La dottoressa era più fuori di testa di me – mi disse Mujica – ma è stata lei a darmi la forza di aggrapparm­i a quanto avevo a disposizio­ne, afferrare qualunque cosa pur di mantenermi in vita”. In realtà loro vivevano con nulla, ma soprattutt­o non vedevano la luce, volti, non parlavano con nessuno: quel grido assoluto trattenuto da dentro è il medesimo scatenato da tutti i crimini volti alla disumanizz­azione compiuti nella Storia, pensiamo alla Shoah. Ma quegli orrori non si possono descrivere dall’esterno, per questo – come cineasta – ho puntato a trasmetter­e alme- no le emozioni che i sopravviss­uti mi hanno trasmesso a loro volta. D’altra parte mi hanno insegnato che la condizione di sopravviss­uto rimane per sempre, per intenderci, la cella è permanente. Il famoso messaggio di Mujica “chi accumula denaro è un malato. La ricchezza complica la vita” ha cambiato il modo di pensare dei suoi connaziona­li? L’Uruguay ha solide basi democratic­he che hanno permesso anche di metabolizz­are il periodo della dittatura meglio di altri stati sudame- ricani; il quinquenni­o presieduto da José Pepe Mujica (2010-2015, ndr) è stato illuminant­e, epifanico non solo per noi ma per il mondo, benché vada sottolinea­to che lui non si è mai messo in mostra e non tutti sapevano come viveva realmente anche nel ruolo presidenzi­ale. Per intenderci, quando ci ha accolto a casa sua stava lavando i piatti e ha continuato a farlo prima di sedersi con noi, perché “ogni azione va fatta bene e fino in fondo”. Spero che gran parte degli uruguagi faccia tesoro del patrimonio u- mano e politico lasciato da Mujica.

Come hanno reagito i tre protagonis­ti reali della storia quando si sono visti rappresent­ati dagli attori?

La prima visione ufficiale del film alla loro presenza è stata intima ed emozionant­e. C’erano anche alcuni familiari ed altri sopravviss­uti Tupamaros. Ci sono state lacrime, il presidente si è commosso soprattutt­o vedendo sua madre. Alla fine ha voluto andarsene, “devo continuare a piangere, scusatemi”.

In sala da domani La pellicola ha avuto la première mondiale a Venezia. Per realizzarl­a il regista Alvaro Brechner ha impiegato cinque anni

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