Il Fatto Quotidiano

L’altro fronte è a Bari tra problemi legali e bisogno di capitale

LAPOPOLARE Deve diventare Spa e trovare soldi Vicino l’addio al modello cooperativ­o, ma va evitato il diritto di recesso dei vecchi soci. Deteriorat­o il 18% dei crediti totali

- » MARCO PALOMBI

Il governo da qualche tempo è, in opere e telefonate informali, attento a quel che succede a Genova in materia di banche, ma forse dovrebbe dare un’o cchi ata anche alla Puglia. Tra due settimane è infatti convocato il consiglio di amministra­zione di Popolare di Bari, la maggiore banca autonoma del Mezzogiorn­o (350 filiali e oltre tremila dipendenti), che dovrà approvare il nuovo piano strategico triennale con la trasformaz­ione da cooperativ­a in società per azioni e l’attesa ripatrimon­ializzazio­ne.

ENTRAMBE operazioni assai delicate: la prima - finora bloccata dalle dispute giuridiche sulla riforma Renzi del 2015 (ora manca solo la Corte europea, chiamata in causa dal Consiglio di Stato, attesa in primavera) - deve affrontare il complesso nodo del diritto di recesso dei soci, che potrebbe costare parecchi, troppi, soldi all’istituto; la seconda - giusta un’indiscrezi­one del Messaggero - sarebbe invece costituita da un aumento di capitale da 300 milioni e da emissioni di bond subordinat­i da 200 milioni, mentre fonti vicine al dossier confermano invece le cifre già circolate nei mesi scorsi (300 milioni in totale).

Al vertice della banca è appena tornato Vincenzo De Bustis, che la guidò tra il 2011 e il 2015, gli anni nei quali Popolare di Bari si caricò - caldamente invitata da Banca d’Italia - la disastrata Tercas, la cassa di Teramo e Pescara, che ne ha assai appesantit­o i conti. La stessa Bankitalia che, anni dopo, si è bizzarrame­nte risve- gliata insieme a Consob cominciand­o a individuar­e qui e lì irregolari­tà e comminando multe ai dirigenti. De Bustis torna a Bari per volere del presidente Marco Jacobini, figlio del fondatore Luigi, la cui famiglia domina l’istituto da sempre: proprio il ruolo futuro degli Jacobini è uno dei nodi da sciogliere, visto che in Puglia non mancano imprendito­ri liquidi - si fanno i nomi di Casillo, Albanese e altri - che certo però non metteranno soldi nella banca per lasciar decidere qualcun altro. Alla fine andrà comunque trovato anche un altro istituto - sondati alcuni di peso medio - per una fusione che stabilizzi l’istituto.

Nero, molto nero, è comunque il destino dei 69mila e dispari soci dell’istituto. Come ha scritto Nicola Borzi sul Fatto a ottobre, “a questi risparmiat­ori negli anni la banca ha piazzato 160,36 milioni di azioni non quotate e illiquide. Titoli che valevano sino a 9,53 euro ma che oggi sono scambiati sul circuito telematico Hi-Mtf a 2,38 euro, con un tracollo del 75%”. L’aumento che si prospetta, superiore all’attuale capitalizz­azione teorica della banca, spingerà il prezzo, e di parecchio, ancora più in basso: sarà insomma un bagno di sangue per i piccoli soci.

La situazione di Popolare di Bari, vista anche la politica di dismission­e forzata dei crediti deteriorat­i a bilancio imposta dalla vigilanza europea e ita- liana, non è d’altra parte semplice. Il 2017 si è chiuso sì con un lievissimo utile post-tasse, ma nella semestrale 2018 (ultimo documento utile) il rapporto costi- ricavi è attorno all’84% (contro una media del 65) e i coefficien­ti di vigilanza come Cet1 e Total capital ratio sono entrambi in calo ( dal 10,19 al 9,15% il primo, dal 12,75 all’11,38% il secondo), anche per via dell’applicazio­ne dei nuovi criteri contabili internazio­nali.

Il problema vero, però, è che continua ad aumentare la percentual­e dei crediti deteriorat­i (i famigerati Npl, non performing loan) sul totale degli impieghi: quelli netti, cioè tolte le perdite già coperte a bilancio, sono il 18,6% del totale dei prestiti - erano il 17,7% a fine 2017 e il 17,1 un anno prima - un rapporto superiore al 16% della commissari­ata Carige (Intesa, per capirci, è al 6).

IN SOLDI QUESTIcred­iti marci - prestiti che la banca dispera cioè di recuperare in tutto o in parte - sono due miliardi e mezzo di euro che, al netto delle perdite già coperte, diventano 1,533 miliardi. Per portare il rapporto Npl-impieghi sotto il 10% lo stock va almeno dimezzato. La seccatura è che tutti stanno vendendo - o meglio svendendo - i loro crediti deteriorat­i e i prezzi sono assai bassi: se applicassi­mo a Popolare di Bari il calcolo fatto ieri per Carige, la dismission­e di 750 milioni di crediti deteriorat­i netti, generosame­nte valutati al 30% del loro valore nominale, comportere­bbe perdite per circa 500 milioni. Il patrimonio netto, che la semestrale 2018 quantifica in circa 800 milioni, verrebbe eroso in maniera significat­iva, motivo per cui sarà necessario l’apporto di nuovo capitale. E qui si ritorna alla domanda di partenza: chi, in quali condizioni e con che prospettiv­e ci metterà i soldi, visto che sulle vecchie vicende di Popolare di Bari è pure in corso un’inchiesta della Procura?

Resta giusto da ricordare che, senza la fretta imposta dalle autorità di regolazion­e e vigilanza, una gestione “paziente” degli Npl consentire­bbe di limitare al minimo le perdite: i guadagni a due cifre dei fondi specializz­ati che li comprano a prezzi di saldo stanno lì a dimostrarl­o.

Npl netti: se vengono dimezzati, perdite stimabili in 500 milioni

 ?? LaPresse ??
LaPresse
 ??  ?? Il presidente Marco Jacobini
Il presidente Marco Jacobini

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy