Grandi opere, né sì né no a prescindere Ma fondi spesi bene
Non so a voi, ma a questa rubrica il dibattito sulle grandi opere suscita nausea e disgusto. Non bisogna infatti essere degli scienziati per capire quanto sia assurdo dire di sì o di no in blocco a decine e decine di diversi progetti autorizzati nel corso degli anni dalle varie maggioranze che si sono succedute al governo del Paese. Chiunque sia dotato di un po’ di sale in zucca sa bene che vi sono opere necessarie e convenienti per la collettività e altre che nascono invece da scelte clamorosamente sbagliate o addirittura criminali. Per esempio, nessuno può oggi sostenere che la Brebemi – cioè l’autostrada in teoria privata costruita per raddoppiare i collegamenti tra Brescia e Milano – sia stata una buona idea dal punto di vista economico. Dopo essere stata a lungo spacciata come un’opera da realizzare senza un euro pubblico grazie al project financing, la Brebemi ha invece beneficiato di uno stanziamento da 260 milioni di euro statali e di uno da 60 milioni da parte della Regione Lombardia, oltre che di una proroga di sei anni deliberata dal Cipe per la concessione, passata da 19 anni e mezzo a 25 e mezzo. A quattro anni dall’inaugurazione, tutte le previsioni sul traffico si sono rivelate sballate: l’A4 non è stata decongestionata (i veicoli in transito sono anzi aumentati) a causa degli alti costi dei pedaggi della Brebemi. Le perdite sono state costanti e l’indebitamento nel 2017 è salito fino a 1,7 miliardi di euro. I fatti e non le opinioni dicono che l’opera è stata un fallimento. Col senno del poi, oggi gli amministratori che l’autorizzarono farebbero verosimilmente scelte diverse. Potrebbero per esempio decidere di non costruire nulla e di potenziare ulteriormente la A4 oppure di approvare un percorso differente. Esattamente quello che farebbero oggi i governi che diedero il via al Mose di Venezia. A meno di non pensare a malafede condita da tangenti (fatto non improbabile viste le successive condanne per mazzette), nessun governante sano di mente potrebbe dire di sì a un sistema per evitare l’acqua alta che dopo 20 anni è già costato più di 5 miliardi e 150 milioni (contro il miliardo e 600 milioni preventivato) e che necessita di altre molte centinaia di milioni per essere terminato. Anche perché, in attesa di sapere se l’opera funzionerà, si è scoperto che la manutenzione non costerà 20 milioni l’anno come da progetto, ma 80, cioè quattro volte di più. Affermare che per salvare Venezia sarebbe stato più economico e saggio adottare sistemi già sperimentati contro le alte maree nel nord Europa, è insomma un’ovvietà. Certo, vi sono altre opere che si sono rivelate utili e azzeccate. Collegare Milano e Napoli con il Tav è stato giusto (anche se sui soldi spesi per la realizzazione gravitano molti interrogativi) e sarebbe bene che al più presto la linea portasse i treni fino a Bari e Reggio Calabria. In ogni caso, però, nessuno può dire che le grandi opere vanno bene o male in blocco. Eppure è quello che accade in questi mesi. Gli schieramenti si affrontano, a volte scendono in piazza, debordano sui giornali (in particolare quello del sì a prescindere), pubblicano manifesti. Per questo, seguendo il dibattito politico, a questa rubrica viene la nausea. Ma non per moralismo. Solo per convenienza. Il denaro investito nelle grandi opere è di tutti i contribuenti (e quindi anche di chi scrive). Fatti chiarivorrebbe solo che a Torino, come a Palermo, venisse davvero speso al meglio.