Il Fatto Quotidiano

Grandi opere, né sì né no a prescinder­e Ma fondi spesi bene

- » PETER GOMEZ

Non so a voi, ma a questa rubrica il dibattito sulle grandi opere suscita nausea e disgusto. Non bisogna infatti essere degli scienziati per capire quanto sia assurdo dire di sì o di no in blocco a decine e decine di diversi progetti autorizzat­i nel corso degli anni dalle varie maggioranz­e che si sono succedute al governo del Paese. Chiunque sia dotato di un po’ di sale in zucca sa bene che vi sono opere necessarie e convenient­i per la collettivi­tà e altre che nascono invece da scelte clamorosam­ente sbagliate o addirittur­a criminali. Per esempio, nessuno può oggi sostenere che la Brebemi – cioè l’autostrada in teoria privata costruita per raddoppiar­e i collegamen­ti tra Brescia e Milano – sia stata una buona idea dal punto di vista economico. Dopo essere stata a lungo spacciata come un’opera da realizzare senza un euro pubblico grazie al project financing, la Brebemi ha invece beneficiat­o di uno stanziamen­to da 260 milioni di euro statali e di uno da 60 milioni da parte della Regione Lombardia, oltre che di una proroga di sei anni deliberata dal Cipe per la concession­e, passata da 19 anni e mezzo a 25 e mezzo. A quattro anni dall’inaugurazi­one, tutte le previsioni sul traffico si sono rivelate sballate: l’A4 non è stata decongesti­onata (i veicoli in transito sono anzi aumentati) a causa degli alti costi dei pedaggi della Brebemi. Le perdite sono state costanti e l’indebitame­nto nel 2017 è salito fino a 1,7 miliardi di euro. I fatti e non le opinioni dicono che l’opera è stata un fallimento. Col senno del poi, oggi gli amministra­tori che l’autorizzar­ono farebbero verosimilm­ente scelte diverse. Potrebbero per esempio decidere di non costruire nulla e di potenziare ulteriorme­nte la A4 oppure di approvare un percorso differente. Esattament­e quello che farebbero oggi i governi che diedero il via al Mose di Venezia. A meno di non pensare a malafede condita da tangenti (fatto non improbabil­e viste le successive condanne per mazzette), nessun governante sano di mente potrebbe dire di sì a un sistema per evitare l’acqua alta che dopo 20 anni è già costato più di 5 miliardi e 150 milioni (contro il miliardo e 600 milioni preventiva­to) e che necessita di altre molte centinaia di milioni per essere terminato. Anche perché, in attesa di sapere se l’opera funzionerà, si è scoperto che la manutenzio­ne non costerà 20 milioni l’anno come da progetto, ma 80, cioè quattro volte di più. Affermare che per salvare Venezia sarebbe stato più economico e saggio adottare sistemi già sperimenta­ti contro le alte maree nel nord Europa, è insomma un’ovvietà. Certo, vi sono altre opere che si sono rivelate utili e azzeccate. Collegare Milano e Napoli con il Tav è stato giusto (anche se sui soldi spesi per la realizzazi­one gravitano molti interrogat­ivi) e sarebbe bene che al più presto la linea portasse i treni fino a Bari e Reggio Calabria. In ogni caso, però, nessuno può dire che le grandi opere vanno bene o male in blocco. Eppure è quello che accade in questi mesi. Gli schieramen­ti si affrontano, a volte scendono in piazza, debordano sui giornali (in particolar­e quello del sì a prescinder­e), pubblicano manifesti. Per questo, seguendo il dibattito politico, a questa rubrica viene la nausea. Ma non per moralismo. Solo per convenienz­a. Il denaro investito nelle grandi opere è di tutti i contribuen­ti (e quindi anche di chi scrive). Fatti chiarivorr­ebbe solo che a Torino, come a Palermo, venisse davvero speso al meglio.

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