Il Fatto Quotidiano

La rivolta serba tra Ue e Putin

Proteste trasversal­i In migliaia contestano Vucic, premier “europeista” ed ex ministro di Milosevic Mosca teme un’altra Lituania

- » ROBERTA ZUNINI

Anche se domani nelle strade ghiacciate di Belgrado e delle principali città serbe scendesser­o ancora migliaia di cittadini assieme ai sostenitor­i dei diversi partiti di opposizion­e, dall’estrema sinistra a ll ’ estrema destra, il presidente Alexander Vucic difficilme­nte aprirà al dialogo. Nonostante il numero dei manifestan­ti sia andato crescendo di sabato in sabato fino ad arrivare a circa 40 mila presenze la scorsa settimana, l’eventuale sesta manifestaz­ione di fila contro Vucic e il suo Partito Progressis­ta non sembra in grado di smuovere l’ex ministro del dittatore Milosevic, che due settimane fa ha dichiarato: “Se anche arrivasser­o a 5 milioni non cederei alle loro richieste”, per poi aggiungere che sarebbe “disposto a incontrare i cittadini infuriati ma non l’opposizion­e bugiarda”, minacciand­o che “l’alternativ­a è il voto anticipato, per contarsi”.

ANDARE SUBITO alle urne sarebbe vantaggios­o per il presidente, “perché non darebbe tempo alle opposizion­i di rafforzars­i”, spiega l’analista Dragomir Andelkovic. Ma le opposizion­i non le vogliono perché ritengono non ci siano le condizioni per consultazi­oni trasparent­i e giuste. Del resto, un qualsiasi cedimento di Vucic in questo senso sarebbe come ammettere le accuse di comportame­nto anti-democratic­o mossegli dagli oppositori riunitisi nelle piazze muniti di fischietti, come ai tempi delle marce contro Milosevic. Questa volta, però, si tratta di un movimento diverso, eterogeneo in tutti i sensi, in cui si notano ex politici, intellettu­ali e attori – accomunati dalla richiesta di libertà di stampa e di critica – costituito­si dopo il pestaggio di Borko Stefanovic, leader di Levica Srbije, un piccolo partito di sinistra. La sua blusa macchiata di sangue a causa dell’attacco perpetrato lo scorso novembre da uomini in passamonta­gna nella città di Kruševac, ha dato il la alla protesta battezzata inizialmen­te “Stop alle camicie insanguina­te” e dopo la sprezzante risposta di Vucic, “uno di cinque milioni”. Il presidente, ex ultranazio­nalista di ferro durante l’era Milosevic, si è convertito all’europeismo più spinto fondando il Partito Progressis­ta serbo. Secondo i manifestan­ti però ha mantenuto i metodi dispotici del suo più noto predecesso­re, oltre a ventilare la “sacrilega” ipotesi di uno scambio di territori con il Kosovo. Proposta che ha fatto scoppiare la rabbia anche dei suoi elettori. La folla, organizzat­a dall’Alleanza per la Serbia – galassia priva di un leader –, chiede innanzitut­to che la Tv pubblica preveda spazi per l’opposizion­e. I manifestan­ti inoltre vogliono indagini serie per fare luce sul mandante del pestaggio contro il leader di sinistra e dell’omicidio di Oliver Ivanovic, leader moderato dei serbi in Kosovo, avvenuto un anno fa. Le altre richieste riguardano anche la dinamica elettorale, giudicata opaca per vari motivi, tra cui le diffuse pressioni esercitate dai datori di lavoro sui dipendenti affinché votino il partito di Vucic.

Il malcontent­o è andato diffondend­osi dopo la sua elezione nel 2017 non solo per l’erosione dello Stato di diritto, ma anche per il peggiorame­nto dell’economia. Basti pensare che solo il 30 per cento della popolazion­e – 7 milioni di abitanti in tutto – ha accesso alla rete fognaria. “La piazza cresce assieme alla frustrazio­ne per come si vive qui”, ha spiegato il giornalist­a Djordje Vlajic, che ritiene si tratti di un’energia che durerà”. Già due anni fa, migliaia di persone scesero in strada contro la vittoria di Vucic (55%), ma si trattava soprattutt­o di giovani e inoltre era primavera. Ora la folla sfida la neve e il gelo, segno che la situazione è ben più

Non pago della solida maggioranz­a, controlla tutto e i suoi uomini sono ovunque: esercito, media, scuole e ospedali

PROFESSORE ANONIMO

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LaPresse “Stop alle camicie insanguita­te”Il movimento denuncia la repression­e del premier serbo. Il presidente della Commission­e europea Jean Claude Juncker contrario all’ingresso del paese nell’Unione con Klaus Werner Iohannis, presidente della Romania
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