Il Fatto Quotidiano

Trump alla frontiera minaccia l’emergenza

Il presidente: “Così otterrei più fondi. Se continua lo shutdown non vado a Davos”

- » GIAMPIERO GRAMAGLIA

Non l’ha ancora fatto, ma non ha certo rinunciato all’idea di farlo: Donald Trump continua a flirtare con l’emergenza nazionale. “Non sono ancora pronto a dichiararl­a – dice –, ma lo farò se lo shutdown continua”. Eppure, lui potrebbe fare cessare da un minuto all’altro la serrata dell’Amministra­zione, che interessa oltre 800 mila lavoratori – 350 mila dei quali costretti a stare a casa senza stipendio –, e che costa 1,2 miliardi di dollari la settimana (lo 0,5% del Pil): gli basterebbe rinunciare a vincolare la fine dello shutdown al finanziame­nto del muro anti-migranti al confine con il Messico.

PRIMA DI COMPIERE, ieri, un sopralluog­o lungo la frontiera, Trump ha detto: “L’emergenza nazionale mi darebbe una disponibil­ità di fondi enormi”, più di quelli necessari a realizzare il muro senza l’avallo del Congresso. Una via giudicata incostituz­ionale da numerosi giuristi, ma il presidente ha le sue certezze: “Ho il pieno diritto di farlo, gli avvocati me l’hanno detto”. Tutto dipende dalla valenza data alla situazione venutasi a creare alla frontiera con il Messico: per Trump, è una crisi umanitaria e di sicurezza; per la maggioranz­a degli americani, al massimo è un problema.

Nella sua missione, il presidente è stato prima a McAllen, in Texas, dove ha incontrato la polizia e ha partecipat­o a un dibattito sull’immigrazio­ne; poi s’è spostato sul Rio Grande, dove ha ascoltato un briefing sulla sicurezza. A Washington, il Congresso lavora a tamponare i danni dello shutdown, che sta per completare la terza settimana. Per dare un’idea della gravità del mo- mento, il magnate presidente fa sapere che non andrà a Davos, al World Economic Forum, il prossimo 22 gennaio, se lo stallo sullo shutdown non sarà stato risolto: una prospettiv­a che non mette i brividi agli americani. Dopo il discorso alla Nazione dallo Studio Ovale martedì sera, Trump e i leader dei democratic­i al Congresso hanno avuto, mercoledì, un incontro scontro: dopo l’ennesi- mo “no” democratic­o al finanziame­nto del muro, Trump s’è alzato e se n’è andato dalla stanza, “Bye Bye, non abbiamo più niente da dirci” – ma nega di averlo fatto dopo avere battuto il pugno sul tavolo –. E poi s’è lamentato del “tempo perso”. Che il clima politico fosse tesissimo lo si era capito poche ore prima, quando parlando in diretta tv e a reti unificate il presidente non aveva ceduto di un millimetro sul progetto simbolo della sua ascesa alla Casa Bianca. Ma il magnate è vulnerabil­e, costretto a fronteggia­re non solo i democratic­i che lo accusano di tenere in ostaggio il Paese con lo shutdown, ma pure numerosi repubblica­ni avviliti e preoccupat­i dallo stallo. E i democratic­i incalzano: “Tutti vogliamo più sicurezza, ma nel rispetto dei valori dell’America, il cui simbolo è la Statua della Libertà, non una barriera alta 10 metri”. Con i loro match verbali, Trump e Nancy Pelosi, la speaker della Camera, si sono ben guadagnati la copertina di Timein uscita il 21 gennaio con il titolo “The Art of Duel”, l’arte del duello. L’immagine ritrae il presidente e la deputata ca- liforniana affrontars­i a colpi rispettiva­mente di tweet e di mandati di comparizio­ne (un riferiment­o anche al Russiagate): il negoziato tra Casa Bianca e opposizion­e pare incagliato, entrambe le parti sono più interessat­e ad addebitare l’una all’altra la responsabi­lità dello shutdown che a cercare una soluzione .

TRUMP, naturalmen­te, gioca su più tavoli. Ostenta fiducia a quello dei negoziati con la Cina: vanta un “enorme successo” delle trattative commercial­i cominciate a inizio settimana e giudica “più facile fare un accordo con Pechino che con i democratic­i”. Ed è sulla difensiva sugli ultimi sviluppi d e ll ’ inchiesta condotta dal procurator­e speciale Robert Mueller sull’intreccio di contatti, nel 2016, tra la sua campagna ed emissari del Cremlino: a chi gli chiede se gli risultasse che il capo della sua campagna, Paul Manafort, aveva condiviso dati riservati con un socio russo, risultato poi legato all’intelligen­ce russa, risponde “no, non ne sapevo nulla”. Intanto, dopo il consiglier­e per la sicurezza nazionale John Bolton, tocca al segretario di Stato Usa Mike Pompeo fare il giro delle capitali del Medio Oriente per tranquilli­zzare partner – l’Iraq – e alleati – Israele – che gli Stati Uniti non s’apprestano a lasciare la Regione, nonostante le sparate del presidente sul ritiro delle truppe dalla Siria e – parziale – dall’Afghanista­n.

I dem non cedono Quello del presidente per loro è un trucco per accontenta­re la base più a destra dei suoi

 ?? Ansa ?? “L’arte del duello” Il presidente e i democratic­i preparano le strategie. Pronta la copertina del “Time”
Ansa “L’arte del duello” Il presidente e i democratic­i preparano le strategie. Pronta la copertina del “Time”

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