Il Fatto Quotidiano

Le élite si pentono, da Juncker a Baricco: “Abbiamo sbagliato”

Ha cominciato Juncker, poi Enrico Letta, De Benedetti, Bersani e Baricco. Un modo per recuperare il terreno perduto

- » SALVATORE CANNAVÒ

C’è una pratica che sembra andare di moda: il pentimento delle élite. Nomi altisonant­i come il presidente della Commission­e europea, Claude Juncker, l’editore e finanziere Carlo De Benede tti , lo scrittore Alessandro Baricco, ma anche, nel suo ultimo libro, il mai sereno Enrico Letta o il giornalist­a Gad Lerner. Tutti quanti hanno espresso parole di ripensamen­to per peccati, spesso irrimediab­ili, come l’austerità o i cedimenti alla sinistra modello Tony Blair. Anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo viaggio in Germania, ieri, ha dato forza a questo sentimento sottolinea­ndo l’importanza delle parole di Juncker e la sua critica alle politiche di austerità.

È STATO FORSE l’ex premier lussemburg­hese quello che si è cosparso di più il capo di cenere, se non altro perché la confession­e del peccato è stata fatta di fronte a tutta l’Europa. “Durante la crisi con la Grecia siamo stati poco solidali con la Grecia e troppo arrendevol­i con il Fondo monetario internazio­n ale”, ha dichiarato qualche giorno fa Juncker. E lo dici solo ora? deve aver pensato il premier greco, Alexis Tsipras. Ma quelle parole non sono isolate.

Si prenda il caso di Carlo De Benedetti, intervista­to dal Sole 24 Ore: “Quanto all’élite europea credo sia necessaria un’autocritic­a. Negli ultimi 20 anni siamo stati troppo innamorati della globalizza­zione (...) la responsabi­lità di questa accettazio­ne acritica è da attribuire a Blair e al blairismo che ha contagiato la sinistra europea”. Quindi anche Matteo Renzi, immaginiam­o. Ma prima forse anche Walter Veltroni e Massimo D’Alema tutti folgorati sulla via di Londra. Peccato che a quelle folgorazio­ni i giornali del suo gruppo abbiano dedicato tutta la loro potenza di fuoco.

Enrico Letta, che dopo la sconfitta politica nel Pd a opera proprio di Renzi si è trasferito a Parigi dove insegna a Science Po, dice invece nel suo ultimo libro Ho imparato che le élite hanno peccato di un “mix tossico di autoconser­vazione e machiavell­ismo politico”, osservazio­ne corretta da parte di chi quella tossicità in qualche modo l’ha incorporat­a.

LA STRADA del pentimento l’aveva già imboccata la scorsa estate Gad Lerner, proprio su questo giornale, quando, per denunciare “l’imbo rghesiment­o del Pd” e la sua “confidenza” con il capitalism­o italiano non risparmiav­a critiche a se stesso: “Sono un borghese benestante, un radical chic, l’amico di Carlo De Benedetti. Sono tutte cose vere. Per questo la nuova classe dirigente del centrosini­stra non partirà certo da quelli come me”. Di fronte a tali dichiarazi­oni la mezza ammissione sfuggita a

Pier Luigi Bersani sul ruolo negativo operato da Giorgio Napolitano durante il passaggio dai governi Berlusconi a Monti sembra poca cosa, ma se approfondi­ta aprirebbe davvero un sentiero inedito.

Quello che importa, comunque, non è tanto rimprovera­re incoerenze evidenti o segnalare la conversion­e tardiva. Quanto comprender­e. Di fallimento del patto tra élite e popolo ha scritto Alessandro Baricco su Repubblica: “Le él it e lavorano per un mondo migliore e la gente crede ai medici, rispetta gli insegnanti dei figli, si fida dei numeri dati dagli economisti (...) quando quel patto funzionava, era saldo, produceva risultati. Adesso la notizia che ci sta mettendo in difficoltà è: il patto non c’è più”.

Quello che ai più sfugge è che la rottura è avvenuta da tempo. Si potrebbe risalire alla nascita dell’Unione europea di Maastricht, testa pensante della moderna austerity.

MA LEGGENDO un articolo, uno dei tanti dedicati all’argomento, di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera restiamo in tempi più recenti: “Si ha l'impression­e che le élite tradiziona­li (...) facciano sempre più fatica a comprender­e, e quindi a rappresent­are, ciò che non da oggi sta prendendo forma negli strati profondi delle società occidental­i e che la crisi economica rinvigoris­ce (...). Di fronte a tutto ciò parlare di una ‘ribellione delle masse’ all’ordine del giorno sarebbe francament­e esagerato. Ma tenere gli occhi ben aperti di certo non lo è per nulla”. Sono parole scritte non nel 2018, ma nel 2008, subito dopo il fallimento di Lehman Brother’s, nel pieno della grande crisi economica. Le risposte a quella crisi sono state le stesse di sempre – vero Bersani? – e il risultato, se non è stata la “ribellione” è però un disconosci­mento. Dal voto del M5S o di vari populisti europei ai Gilet gialli. Contro qualsiasi governo, di destra o di sinistra. Ora, qualcuno vuole forse ripensarci e recuperare il terreno perduto. Ma un pentimento che si rispetti ha bisogno anche di una penitenza. E quella ancora non si vede.

Conversion­i Primi ripensamen­ti nella politica e negli affari. Ma finora senza fatti concreti

L’avviso del Colle Mattarella da Merkel: riflettiam­o sul serio sull’austerità. Sarà ascoltato dalla Ue?

Va detto che le élite hanno peccato di un ‘mix tossico di autoconser vazione e machiavell­ismo politico’ ENRICO LETTA

Parlare di ‘ribellione delle masse’ sarebbe esagerato Ma tenere gli occhi ben aperti di certo non lo è per nulla E. GALLI DELLA LOGGIA

Quando il patto tra élite e popolo era saldo, produceva risultati Adesso la notizia è: il patto non c’è più ALESSANDRO BARICCO

Durante la crisi con la Grecia siamo stati poco solidali con essa e troppo arrendevol­i con il Fmi J. CLAUDE JUNCKER

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Baricco, Juncker, De Benedetti, Letta, Bersani e Lerner
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Ansa Il tempio delle élite mondiali Un’immagine dal Forum di Davos, in Svizzera, che riunisce governanti e banchieri del mondo
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