Il Fatto Quotidiano

MAGISTRATI CORROTTI, NON SOLO ORA IN CALABRIA

- » MASSIMO FINI (M. TRAV.)

Mentre i più importanti giornali erano impegnati a scovare anche il più piccolo granello di sabbia nell’ingranaggi­o dell’a lleanza fra Cinque Stelle e Lega e poi a fare le pulci al ‘decretone’ del governo, di cui Conte, Di Maio, Salvini si dimostrava­no giustament­e orgogliosi, a me il fatto più grave, e anche impression­ante, è sembrato l’incriminaz­ione di 15 magistrati calabresi (15) da parte della Procura di Salerno per reati che vanno dalla corruzione alla corruzione in atti giudiziari al favoreggia­mento mafioso. Durante il Fascismo, la Magistratu­ra ordinaria fu incorrutti­bile. Tanto che il Regime dovette inventarsi i Tribunali Speciali per giudicare i reati politici, soprattutt­o quelli di opinione di cui il Codice di Alfredo Rocco, che era un grande giurista ma pur sempre un fascista, era zeppo. Nel dopoguerra, dopo gli anni dello slancio della ricostruzi­one e una classe politica che si era temprata in quel conflitto, cominciò a insinuarsi nelle nostre élite, chiamiamol­e così, il tarlo della corruzione. E la Magistratu­ra, o almeno una parte di essa, fu connivente. Il Tribunale di Roma veniva chiamato “il porto delle nebbie” per la sua abilità nell’insabbiare le inchieste che avrebbero potuto rivelarsi insidiose per ‘lorsignori’. E a Milano, col Procurator­e generale Carmelo Spagnuolo, gran frequentat­ore di bische, le cose non andavano tanto meglio. Ai Procurator­i generali o ai Procurator­i capo era facile tagliare le unghie ai Pm fastidiosi: avocavano a sé le inchieste e non se ne sapeva più nulla. Successiva­mente, con il Pci che si era consociato col Potere, divenne praticamen­te impossibil­e indagare sulla corruzione dilagante e sistematic­a fra i politici e gli imprendito­ri. Perché mancava l’opposizion­e. Il crollo dell’Urss, nel 1989, cambiò completame­nte la prospettiv­a. Il pericolo sovietico non esisteva più, la Dc divenne meno indispensa­bile in funzione anticomuni­sta (il “turatevi il naso” di Montanelli) e molti voti in libera uscita andarono alla Lega, che sarà stata anche ‘brutta, sporca e cattiva’ (per me non lo era affatto) ma era una vera forza di opposizion­e con la quale bisognava fare i conti e non si poteva più dilapidare allegramen­te, a proprio uso e consumo, il denaro dei cittadini (Giuliano Cazzola ha calcolato che la corruzione fino al 1992 ci è costata circa un quarto dell’attuale debito pubblico, stima abbondante­mente per difetto perché tiene conto solo dei reati corruttivi scoperti che sono in genere, come per tutti gli altri reati, un decimo di quelli effettivam­ente commessi). La presenza della Lega liberò le mani alla Magistratu­ra e nacque Mani Pulite con lo straordina­rio pool dei Pm di Milano, alcuni dei quali ricordati da Marco Travaglio nel suo editoriale del 17.1. Non capisco però perché Marco si sia dimenticat­o nei polpastrel­li Antonio Di Pietro che di Mani Pulite fu il motore e che nel biennio 1992-94 veniva osannato da tutti, soprattutt­o da chi aveva la coda di paglia (famoso e imperituro, mi dispiace per lui, rimane un editoriale del direttore del Corriere, Paolo Mieli, intitolato “Dieci domande a Tonino” come se ci avesse mangiato insieme, fin da ragazzo, a Montenero di Bisaccia). Io distinguo le persone fra quelle che hanno una percezione positiva di Di Pietro e quelle che lo hanno odiato fin dall’in iz io (“Di Pietro è un uomo che mi fa orrore”, Berlusconi) e tuttora lo odiano, perché si può star certi, o quasi, che questi ultimi hanno qualcosa di losco da nascondere. Parlo naturalmen­te del Di Pietro magistrato, il politico, ingenuo, pare aver smarrito quella furbizia contadina (“che ci azzecca?”) che gli permise a suo tempo di mettere nel sacco gli indagati e il loro truffaldin­o politiches­e. Mi spiace comunque che oggi i magistrati o gli ex magistrati di Mani Pulite, con l’eccezione di quel gran signore che è Francesco Saverio Borrelli, abbiano isolato umanamente Di Pietro. Mi pare una brutta storia di razzismo sociale. Passarono pochissimi anni e, con tutti i testimoni del tempo ancora in vita, ‘lorsignori’, sostenuti da quasi tutta la stampa, riuscirono, con un gioco delle tre tavolette, a capovolger­e le carte in tavola: i veri colpevoli divennero i giudici, le vittime i ladri, assurti, spesso, a giudici dei loro giudici. Era ovvio che con un simile, incoraggia­nte, precedente la corruzione esplodesse coinvolgen­do tutti i settori della vita pubblica e privata, normali cittadini compresi. Ma se le inchieste della Procura di Salerno dovessero essere confermate l’effetto sarebbe devastante. Una corruzione così ampia all’interno della Magistratu­ra, massimo organo di garanzia in uno Stato di diritto, minerebbe alla radice la fiducia dei cittadini di essere uguali almeno davanti alla legge e significhe­rebbe che questo Paese è marcio fino al midollo. E si potrebbe dire, parafrasan­do un antico e famoso titolo dell’Espresso: “Magistratu­ra corrotta, Nazione infetta”.

Caro Massimo, non ho dimenticat­o Di Pietro: il mio era un elenco di ex procurator­i capi e Di Pietro non lo è mai diventato.

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